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«Quello che contemplammo e che le nostre mani toccarono del Verbo della vita»

Pellegrinaggio in Terra Santa dei Vescovi lombardi. Messa nel Natale del Signore, Betlemme - 28 ottobre 2025

28 Ottobre 2025

1. «Venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto»

Forse il farsi carne del Verbo, l’offrirsi a coloro che «contemplano la sua gloria» da parte «del Figlio Unigenito» in questa terra, in questo luogo santo, luogo fatto di terra e di pietra, luogo intenso di preghiera e di mistero, può essere come un rimprovero che ci sentiamo rivolgere. Celebriamo il mistero di Dio che si rende accessibile, anzi ci invita ad entrare, si rende abitabile e la sua gloria ci avvolge di luce.

E ci rivolge un rimprovero: voi non entrate nel mistero. Quando celebrate siete tutti intenti a quello che dovete dire voi: come può raggiungervi lo Spirito di Dio, che è la grazia del celebrare? Come vi rende fuoco l’entrare nel fuoco? Come vi rende luce l’entrare nella luce? Come vi rende pane il nutrirvi di questo pane che è il corpo di Cristo? Come vi rende figli la comunione con il Figlio? Voi celebrate un rito, non un mistero; voi siete attenti alle cose e ai gesti che eseguono le rubriche, non vi lasciate condurre dai segni e dalle azioni fino a «Toccare il Verbo della vita».

Una sorta di rassegnazione alla distrazione, cioè a guardare tutto eccetto l’essenziale, abita nel celebrare ordinario.

 

2. «A quanti però lo hanno accolto…»

Come dunque possiamo accogliere il Verbo fatto carne?

Abbiamo bisogno degli angeli dell’annunciazione. Tutti i preparativi dei secoli, tutte le intenzioni devote si rivelano sorpresi dalla manifestazione della gloria del Verbo nella mangiatoia di Betlemme di Giudea. I pastori ignari, forse ignari pure delle parole dei profeti, sono raggiunti da stupore e timore che annunciano la grande gioia. Anche i discepoli, familiari con il racconto e con le consuetudini, hanno bisogno dell’angelo della gloria che avvolge di luce. Il nostro angelo avrà forse la forma della fede semplice della gente, forse dello sconcerto di un evento, forse dei segni poveri che, qui o chi sa dove, cominciano a parlare.

Abbiamo bisogno dell’attesa e dell’invocazione: “Vieni, Signore Gesù!”. Per coloro che non si aspettano nulla, spesso nulla avviene. Nella nostra intimità segreta abita una sete forse dimenticata, un desiderio forse estenuato dal tempo o dalla consuetudine. Siamo condotti in questo luogo povero e santo perché ci ferisca la domanda: io attendo qualche cosa? Io che cosa attendo? Qual è il desiderio della mia vita?

 Abbiamo bisogno di praticare il linguaggio del mistero. La carne del Verbo, la sua gloria, chiama a vivere, a pensare, a sentire; non soltanto ad imparare e ad istruire, a seguire riti e gesti. È, piuttosto, una trasfigurazione. È, piuttosto, una conformazione. Siamo chiamati a percorrere la via dell’incanto, del timore, della commozione, del sentire, del toccare, del contemplare. Ne riceviamo forse una ferita, come un essere trafitti da un pentimento. Forse si accende uno struggente desiderio, forse una grande gioia: «La gloria del Signore li avvolse di luce» (Lc 2,9).

 

3. «Noi lo annunciamo anche a voi, perché voi siate in comunione con noi»

Che cosa abbiamo da dire a questo tempo, a questa terra, a questa gente?

Forse il desiderio e l’invocazione si sono spenti. Forse uomini e donne di questo tempo non si aspettano un gran che da noi. Eppure noi abbiamo bisogno del compimento della gioia: «Queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia piena» (1Gv 1,4).

Le nostre parole consumate dall’uso, le nostre pigrizie e timidezze, i nostri timori e confusioni non sono un’obiezione, una pastoia, se tutto quello che facciamo ritrova il suo principio: «Noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito, pieno di grazia e di verità».

Siamo presenti in questa terra benedetta e tormentata per ricevere luce, ardore, pazienza, fiducia. E siamo qui per pregare, e lo facciamo con le parole di Giovanni Papini nella Storia di Cristo.

 

            Ma ora è giunto il tempo che devi riapparire a tutti noi e dare un segno perentorio e irrecusabile a questa generazione. Tu vedi, Gesù, il nostro bisogno; tu vedi fino a che punto è grande il nostro grande bisogno; non puoi fare a meno di conoscere quanto è improrogabile la nostra necessità, come è dura e vera la nostra angustia, la nostra indigenza, la nostra disperanza; tu sai quant’è necessario un tuo ritorno.

            Abbiamo bisogno di te, di te solo, e di nessun altro. Tu solamente, che ci ami, puoi sentire per noi tutti che soffriamo la pietà che ciascun di noi sente per sé stesso. Tu solo puoi sentire quanto è grande, immisurabilmente grande, il bisogno che c’è di te, in questo mondo, in questa ora del mondo. Nessun altro, nessuno dei tanti che vivono, nessuno di quelli che dormono nella mota della gloria, può dare, a noi bisognosi, riversi nell’atroce penuria, nella miseria più tremenda di tutte, quella dell’anima, il bene che salva. Tutti hanno bisogno di te, anche quelli che non lo sanno, e quelli che non lo sanno assai più di quelli che sanno. L’affamato s’immagina di cercare il pane e ha fame di te; l’assetato crede di voler l’acqua e ha sete di te; il malato s’illude di agognare la salute e il suo male è l’assenza di te. Chi ricerca la bellezza nel mondo cerca, senza accorgersene, te che sei la bellezza intera e perfetta; chi persegue nei pensieri la verità, desidera, senza volere, te che sei l’unica verità degna d’esser saputa; e chi s’affanna dietro la pace cerca te, sola pace dove possono riposare i cuori più inquieti.

            Noi vogliamo soltanto te, la tua persona, il tuo povero corpo trivellato e ferito, colla sua povera camicia d’operaio povero; vogliamo veder quegli occhi che passano la parete del petto e la carne del cuore, e guariscono quando feriscono collo sdegno, e fanno sanguinare quando guardano con tenerezza. E vogliamo udire la tua voce che sbigottisce i demoni da quanto è dolce e incanta i bambini da quanto è forte. Tu sai quanto sia grande, proprio in questo tempo, il bisogno del tuo sguardo e della tua parola.