1. Abbiamo una parola per la solitudine?
La folla che percorre la città non ha volto, solo maschere. Nella folla e nelle case abitano molti uomini e donne di oggi come solitari sconosciuti. Dietro le maschere, oltre le convenzioni sociali, al di sotto degli abiti di lavoro, molti abitano nella solitudine.
Alcuni difendono la solitudine, si rallegrano di essere soli, cercano la solitudine come per dire: “Non voglio legami, piuttosto pretendo servizi; mi mette a disagio chi vuole entrare nella mia vita, faccio entrare volti e storie virtuali che posso escludere appena mi annoiano; la solitudine per essere libero”. Alcuni si disperano nella solitudine, si lamentano di affetti perduti, di legami spezzati, di illusioni giovanili che si rivelano desolate delusioni e irrimediabili condanne: “Sono solo, non sono di nessuno, nessuno si interessa di me se non per quello che posso fare o dare o comprare. Sono solo, non sono di nessuno: per che cosa vivo?”.
Abbiamo una parola da dire alla solitudine?
La parola che abbiamo da dire è la parola di Paolo: «Poiché vi è un solo pane noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo dell’unico pane» (1Cor 10,14-21). Noi possiamo offrire il dono della comunione poiché viviamo e offriamo la Celebrazione Eucaristica. La parola da dire è la fraternità che si crea e si alimenta nel Cammino Neocatecumenale dentro la comunità cristiana: ecco – possiamo dire – venite, condividete l’unico pane, lasciatevi abitare dall’unico Spirito e diventate pietre vive dell’unica Chiesa! La parola che abbiamo da dire è piuttosto un invito che un discorso, perché riceviamo e accogliamo con gratitudine la parola di Dio: «Non è bene che l’uomo sia solo» (Gn 2,18).
2. Abbiamo una parola da dire allo smarrimento?
Smarriti. Disorientati. Non sanno che cosa pensare. Non sanno che cosa fare. Non sanno che cosa si possa sperare. Sono frastornati dall’invasioni di notizie scoraggianti. Sono incerti per messaggi contraddittori e sono paralizzati dalla confusione: come si vive l’amore? Come si distingue il bene dal male? Che cosa significa essere papà, mamma? Come si tratta un figlio, una figlia adolescente? Smarriti. Disorientati. Con sensi di colpa.
Abbiamo una parola da dire allo smarrimento? La parola che abbiamo da dire non è nostra, ma è la parola di dire è la parola della sapienza di Dio: «Chi è inesperto venga qui. A chi è privo di senno la sapienza dice: “Venite, mangiate il mio pane […] abbandonate l’inesperienza e vivrete, andate diritti per la via dell’intelligenza”» (Pr 9,1-6). La parola che abbiamo da dire non è una parola, ma una esperienza di vita che ci orienta, una fraternità che cammina insieme e condivide la verità luminosa di Gesù, via, verità e vita. In Gesù troviamo rimedio allo smarrimento e ci convinciamo ad accogliere la verità che la Chiesa testimonia e vive, anche nella forma del Cammino.
3. Abbiamo qualche cosa da dire alla disperazione?
La gente del nostro tempo sembra ostinata nella persuasione e forse nel desiderio di essere disperata. Come se dicesse: “Lasciateci vivere nella disperazione. Non parlateci di speranza, perché noi siamo intelligenti, siamo informati. E abbiamo deciso che il nostro destino è la morte e il pensiero più avveduto è una tranquilla ed educata rassegnazione. Lasciateci vivere nella disperazione”.
Abbiamo una parola da dire alla disperazione? La parola che abbiamo da dire non è nostra, ma è la parola di Gesù: «Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna […] rimane in me e io in lui […] vivrà per me» (Gv 6,54-57). La comunione con Gesù è principio di vita, di vita felice, di vita eterna. La morte è stata vinta e noi siamo autorizzati a sperare poiché il suo amore è fedele e non delude mai. La nostra speranza è fondata in lui. La parola che abbiamo da dire è la testimonianza della nostra vita, la gioia invincibile di chi mangia il Pane della vita, cioè condivide con i fratelli e le sorelle, nella santa Chiesa di Dio, la comunione con Gesù.

