1. Come ti chiami
Il nome racconta la mia storia, parla dei mei genitori, di come mi hanno introdotto alla vita e alla vita di fede. Mi chiamo con il nome che nel Battesimo è stato scelto per me, per rendere evidente la mia introduzione nella comunione dei santi. Mi chiamo con il nome che i miei cari hanno usato per tanti anni per riconoscermi, per dichiararmi la loro attenzione, il loro affetto. Il mio nome di Battesimo ha una lunga storia di riconoscenza da raccontare, una storia di grazia e di peccato, una storia di lacrime e di sorrisi, una storia di fatiche e di feste, di responsabilità e di obbedienza.
Qualche volta il mio nome è stato manipolato per diventare un nomignolo, talora per dire una particolare confidenza, talora per mettermi in imbarazzo additando un mio difetto, mettendo in ridicolo qualche tratto della mia persona. Quante cose racconta il mio nome di battesimo!
Giunti a un anniversario significativo di consacrazione, sarebbe bello fare della storia personale un racconto di conoscenza e di riconoscenza, di ricordo e di sapienza.
2. Come ti chiamano
Poi è venuta la vocazione, la scelta per un’appartenenza ad un istituto di vita consacrata, l’evento della vestizione che mi fa riconoscere non come la figlia di, la sorella di, come succedeva al mio paese nei primi anni della mia vita.
Poi è venuta la professione e la destinazione. Adesso mi chiamano suora, frate, don. Anche chi non mi conosce sa chi sono, presume di sapere che cosa può aspettarsi da me. Anche chi non mi conosce mi classifica e perciò ricevo confidenze ed espressioni di stima che non ho meritato. E ricevo anche parole maliziose e sprezzanti che non ho meritato. Sono “la suora”, “il frate”, “il prete”.
Non interessa a molti come mi chiamo, che cosa mi passa nell’animo, che cosa mi passa nella mente. Nel chiamarmi con il nome generico che mi classifica c’è qualche cosa di mortificante, quasi il segno di un’indifferenza per la persona per dare importanza al ruolo.
Ma nel chiamarmi con il nome generico c’è qualche cosa di grande, di bello, di commovente: se non fossi suora, prete, frate sarei irriconoscibile, non mi parlerebbero come mi parlano, non mi chiederebbero le preghiere che mi chiedono: “Preghi per me, suora!”; “Preghi per me, padre!”. È quello che ho scelto, di fare della mia vita un dono, un servizio, una dedizione che non attira l’attenzione su di me, ma un’appartenenza che dice a chi mi incontra: “Puoi contare su di me!”.
3. Come ti chiama il Signore
Ma c’è un nome più misterioso, più intimo, più decisivo. Come mi chiama il Signore. I racconti delle Scritture attestano questi eventi in cui Gesù si pronuncia sul nome: Simone lo chiama Pietro, Giacomo e Giovanni li chiama “figli del tuono”. E gli apostoli cambiano il nome di Giuseppe, «soprannominato dagli apostoli Barnaba, che significa figlio dell’esortazione».
Nella storia d’amore che ciascuno scrive insieme a Gesù viene consegnato un nome nuovo: «Chi ha orecchi, ascolti ciò che lo Spirito dice alle Chiese. Al vincitore darò la manna nascosta e una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo, che nessuno conosce all’infuori di chi lo riceve» (Ap 2,17).
Nel rapporto personale con il Signore è consegnata la pietruzza bianca con il nome segreto. Forse anche uomini e donne che si amano vivono dei momenti in cui si chiamano con il nome segreto, quello che si conosce solo nell’intimità. Ma certo nella vicenda di uomini e donne consacrati c’è il momento in cui il Signore chiama con il nome indicibile della verità insondabile di ciascuno, quella verità così bella, quella verità che il Signore ama e vede anche se nessuno può immaginarla.
La celebrazione dell’anniversario di consacrazione è l’occasione propizia per raccogliersi in preghiera e ascoltare ancora come mi chiama il Signore, quell’intimità amorosa in cui può entrare solo il Signore e la mia libertà.
4. Che dire della pietruzza bianca e del nome misterioso?
Si può dire che è il nome della gloria: «ora il figlio dell’uomo è stato glorificato». E il Signore glorificato sa leggere nel libro della vita i nomi di tutti coloro che ama, il nome con cui mi chiama a entrare nella sua gloria.
Si può dire che è il nome con cui siamo chiamati a percorrere la via di Dio: una via più sublime, inaccessibile alla carne e al sangue, capace di trasfigurare anche la carne e il sangue, gli affetti, i rapporti, lo stile: «E allora, vi mostro la via più sublime». Il nome segreto chiama a vivere una vita paradossale e meravigliosa, a dar forma storica alla comunità alternativa che dà testimonianza della novità inaudita della risurrezione di Gesù per cui coloro che erano diventati credenti «godevano di grande favore».
Si può quindi celebrare anche così un anniversario significativo vi vita consacrata: entrando nel mistero del nome. Come mi chiamo? Come mi chiamano? Come mi chiama il Signore?

