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«Il vento soffia dove vuole» (Gv 3,8)

Festa in Seminario, Venegono Inferiore, Seminario Arcivescovile - 1° maggio 2025

1 Maggio 2025

Devo fare l’elogio del vento, l’elogio del vento amico. «Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né dove va». Faccio dunque l’elogio del vento amico e di coloro che s’affidano al vento, senza avere l’ossessione di aver già capito l’itinerario, s’affidano al vento e non sanno dove il vento li porterà, ma sanno che è il vento amico, lo Spirito che fa rinascere chi è vecchio e risorgere chi è morto. Faccio dunque l’elogio della sorpresa, come quella di un figlio che dice: “Penserei di andare in seminario”. E ci sono di quelli che dalla sorpresa passano all’inquietudine ed allo spavento, ma coloro che si fidano del vento amico passano dalla sorpresa allo stupore, all’esultanza, alla riconoscenza.

Faccio l’elogio del vento amico e perciò mi dispiace della tristezza della barca che non spiega le sue vele e ha timore del mare e degli orizzonti lontani, e se ne sta nel porto pretendendo di stare al sicuro là dove la vita invecchia, senza mai navigare sotto nuovi cieli e giungere a porti lontani. Cioè interrogo le libertà che non si fidano, le giovinezze che non raccolgono l’invito a prendere il largo, le vite che trascorrono senza seguire una direzione, senza rispondere alla vocazione alla santità.

Faccio l’elogio del vento amico, il vento che rende facile navigare: e infatti affidarsi al vento amico consente di andare lontano, ma non a forza di remi, non per la dura fatica motivata dalla presunzione di potercela fare, dall’orgoglio di bastare a sé stessi. Il vento amico non ti esonera dalla responsabilità di scegliere la rotta, non ti sottrae alla libertà di orientare il timone, ma realizza quell’intreccio di libertà e di grazia che onora la dignità di chi è rinato dallo Spirito e la gratitudine per lo Spirito che fa rinascere. Infatti, si racconta di grandi navigazioni improbabili compiute da uomini e donne qualsiasi. Come hanno potuto compiere grandi imprese persone da nulla, come Benedetto Cottolengo, Luigi Orione, Carlo Gnocchi, Madre Teresa di Calcutta? Il loro segreto è stato l’affidarsi al vento amico, che ha dato compimento ai loro propositi ed alle loro ispirazioni oltre ogni aspettativa. Come si spiega l’attrattiva universale che esercitano piccole storie come quella di Carlo Acutis, di suor Giuseppina Bakhita? Non hanno compiuto nessuna grande impresa, ma il vento amico li ha portati lontano.

Faccio l’elogio del vento amico, cioè dello Spirito che fa nascere dall’alto, che fa rinascere anche chi è vecchio, che apre vie nuove anche per chi si sente bloccato nell’impotenza, assestato nella mediocrità, impaurito del futuro, imprigionato nel risentimento, nella rabbia, nella sfiducia. Chi si affida al vento amico sperimenta la grazia del perdono, il sollievo della remissione del peccato, della pena. Si può sperimentare quella grazia del “finalmente!”: finalmente sono stato liberato, finalmente quel senso di colpa che mi tormenta è stato guarito, finalmente posso deporre il rimorso trasformato in pentimento. Per lo Spirito non c’è niente di irrimediabile, non c’è nessuna vecchiaia che non possa rinascere, non c’è nessun destino già scritto, se l’animo si apre alla grazia.

Faccio l’elogio del vento amico, quello che soffia come una brezza leggera e che irrompe come lo scompiglio di Pentecoste e rende possibile l’inedito, apre vie alternative: dà vita a una comunità che introduce in città un modo di vivere ammirevole e paradossale: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano il ricavato di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; poi veniva distribuito a ciascuno secondo il suo bisogno» (At 4,32ss).