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Quando vi radunate per la cena

Giovedì Santo, Messa nella Cena del Signore, Milano, Duomo - 17 aprile 2025

17 Aprile 2025

1. «Farò la Pasqua da te con i miei discepoli»

Si capisce che con l’espressione “fare la Pasqua” si intende “mangiare la Pasqua”, cioè sedere a mensa insieme con la comunità per consumare la cena. La cena pasquale nella tradizione giudaica si è strutturata come un rito: è la memoria di “quella notte” del passaggio di Dio che rende i figli di Israele un popolo di uomini e donne liberi perché liberati da Dio. Gesù ha dunque fatto Pasqua: si è seduto a tavola con i suoi discepoli.

Agli inizi della Chiesa le comunità cristiane celebravano la cena del Signore sedendo insieme a mensa e Paolo rimprovera la comunità di Corinto: con il vostro comportamento voi tradite il significato di ciò che celebrate. Il segno della comunione è tradito dal comportamento individualistico di coloro che si radunano.

Il linguaggio liturgico conserva le parole “banchetto”, “convito”, “cena”, ma la forma del celebrare si è configurata in un rito molto diverso dal sedere a mensa per un pranzo o per una cena. E tuttavia la celebrazione della “cena del Signore” ha qualche cosa da dire a proposito del mettersi a tavola. Forse si potrebbe dire che la cena del Signore è ben celebrata se crea le condizioni per condividere la mensa, per stare a tavola insieme.

 

2. Mettersi a tavola con…: il segno si è sbiadito?

La consuetudine così diffusa nella nostra pratica si è rarefatta: diventa più raro e difficile che una famiglia possa ritrovarsi per la cena o per il pranzo. La difficoltà non raramente è imposta dagli orari di lavoro e dal moltiplicarsi degli impegni dei componenti della famiglia o della comunità.
Ma spesso diventa un’abitudine, una scelta di comodo, una pretesa di libertà, un prevalere dell’io sul noi.

“Perché non mangiate insieme?”, chiedo alle famiglie, chiedo ai preti, chiedo alle persone legate da vincoli di parentela. “Perché preferite mangiare da soli?”, mi viene da chiedere a tante persone. “Noi mangiamo insieme, ma è come essere da soli perché ciascuno è intento a trafficare con il suo cellulare, a guardare la sua partita”. “Preferisco mangiare da solo, perché così mi faccio gli orari che voglio”. “Preferisco mangiare da solo, perché devo lavorare fino a tardi, perché torno tardi da scuola”. “Sono costretto a mangiare da solo perché gli altri tornano tardi e io devo uscire presto per gli allenamenti, perché gli amici mi aspettano”.

Talora chiedo: “Dove andate per Pasqua?” e intendo: “Con chi condividete il pranzo di Pasqua?”. Invece con frequenza mi viene risposto descrivendo una località turistica, un viaggio, un’esperienza esotica, per chi se lo può permettere.

Se esploriamo le ragioni per cui si è sbiadito il segno del mettersi a tavola si può talora riconoscere i sintomi di un malessere, lo smarrimento di un’appartenenza. Ci sono famiglie che hanno interrotto la consuetudine di condividere il pranzo di Pasqua o di Natale perché i rapporti si sono incrinati. Incontrarsi, invece che un piacere, è un imbarazzo. Incontrarsi, invece che condividere con simpatia aggiornamenti e sentimenti, potrebbe essere occasione per parole aspre e irritazioni aggressive.

 

3. Imparare la grammatica della vita comune

La celebrazione dell’Eucaristia ci rende partecipi dell’unico pane perché possiamo diventare un unico corpo. Il mistero celebrato non può restare un’astrazione, un principio da proclamare. È piuttosto la grazia che siamo chiamati ad accogliere: la grazia della comunione, la grazia della riconciliazione, la grazia di essere un segno e una speranza per il nostro tempo.

Impariamo una grammatica per la vita da condividere, per la fraternità da edificare. Riceviamo quella grazia di una carità spicciola, che si traduce in gesti semplici, in forme buone di vita condivisa. Che si esprime anche nel sedere a mensa insieme per completare a tavola la Pasqua celebrata nel mistero.