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Antonio Stoppani. Prete, scienziato, patriota

Convegno per il bicentenario di don Antonio Stoppani, Milano, Museo di Storia Naturale - 14 febbraio 2025

14 Febbraio 2025

Sono onorato di questo invito. La mia conoscenza di Antonio Stoppani è dovuta al fatto di aver vissuto in Seminario, dove una successione di preti scienziati e di loro collaboratori hanno custodito una parte della originaria “Collezione Stoppani” di geologia e l’hanno sviluppata. Lì si trova anche una scultura che lo ritrae. Tale sezione del museo, di cui ho avuto responsabilità per alcuni anni in quanto Rettore del Seminario, è stata per me la via di ingresso per conoscere un po’ Antonio Stoppani. Peraltro don Elio Gentili – uno dei custodi – aveva promosso anni fa un volume intitolato Scienza e fede: i protagonisti, pubblicando ritratti e piccole biografie di alcuni preti e monaci scienziati nelle diverse aree del pianeta. Questo volume contiene ovviamente anche una biografia di Stoppani, scritta dal professor Nangeroni. Aggiungo poi che ho appreso con grande sollievo della riedizione de Il Bel Paese in occasione del centenario, che me ne rende possibile una consultazione più attenta di quella che sinora ero riuscito a fare.

Vorrei prendere spunto da Stoppani per affrontare una questione interessante, che è il rapporto tra scienza e fede. Si parte solitamente da un presupposto un po’ ingenuo, secondo il quale da una parte ci sono i fedeli, dall’altra gli scienziati; da un lato coloro che guardano in alto, verso Dio, dall’altro coloro che guardano in basso o, comunque, si occupano di un mondo destinato prima o poi a finire; di qua chi pensa a praticare la verità del Vangelo, perché sa di dover rendere conto di fronte al giudizio di Dio, di là chi pensa che la vita sia soltanto qui e ora, sulla terra, provvisoria e destinata a finire nel nulla. Si tratta di un preconcetto semplicistico, che contrappone scienza e fede o perlomeno le ritiene estranee l’una all’altra; uno stereotipo, una ovvietà popolare che mi pare debba essere riconosciuta come del tutto anacronistica.

Vorrei, innanzitutto, far notare che la scienza in astratto non esiste: esistono gli scienziati, ognuno dei quali ha una propria vicenda personale, spirituale, intellettuale; ci sono scienziati credenti e scienziati agnostici o atei. Sull’altro versante, nemmeno la fede in se stessa esiste: esistono i credenti, persone con una vita intellettuale e spirituale, che può anche condurli ad acquisire competenze nelle diverse scienze, oppure a rimanerne ignoranti. La dicotomia tra fede e scienza mi pare dunque anacronistica. Constato, inoltre, come entrambe non siano in grado di esaurire le domande che vengono loro poste dalla sensibilità contemporanea. È evidente che la pretesa di alcuni scienziati di dare risposte definitive sul mondo e sull’esistenza non regge; allo stesso modo non regge neppure la pretesa di alcuni credenti di spiegare tramite la fede l’intero funzionamento della realtà e della vita. Le implicazioni, le connessioni, la complementarità tra scienza e fede appaiono quindi necessarie.

Stoppani può davvero esserci d’aiuto nell’affrontare questo tema di grande complessità. È stato infatti un uomo di fede, che ha sempre desiderato essere prete, considerando il riferimento a Dio come necessario, decisivo, liberante. Ma è stato anche uno scienziato, delle cui competenze si tratterà probabilmente in modo più ampio nel corso della mattinata. Appartenne a un’epoca in cui il positivismo scientifico ed un certo fondamentalismo religioso venivano posti in reciproca tensione, considerati in contrapposizione, o perlomeno estranei l’uno all’altro. Stoppani, al contrario, mi pare si sia dimostrato un geniale precursore di quel bisogno di totalità che non esclude nulla dal proprio orizzonte, nemmeno ciò che può apparire scomodo, contraddittorio, problematico.

Desidero svolgere sei brevi punti, collegati tra loro da qualche passo de Il Bel Paese, cioè – come bene sapete – da quella serie di conversazioni che Stoppani immagina di intrattenere con i suoi nipoti, riportando i loro interventi e le loro domande e rispondendo tramite il racconto dei suoi viaggi, delle sue esplorazioni e talvolta con considerazioni di carattere più generale.

Il primo punto potremmo intitolarlo: “La ricerca scientifica è un dovere”. Scrive Stoppani: «La scienza non si accontenta di dire: Dio ha fatto, Dio ha voluto così. Vuole anche sapere come ha fatto e, se può, perché ha voluto così. E Dio non vieta questa nobile curiosità, che è tutta conforme a quel lume di ragione che Dio stesso ha posto nell’uomo perché fosse all’immagine sua. Dio stesso ha fornito i mezzi perché possa soddisfare la curiosità. La ricerca scientifica, dunque, è voluta da Dio, coerente con la natura della persona umana, che, perciò, e per tanti altri motivi, è dotata di intelligenza, di curiosità, per comprendere il mondo in cui vive». Per Stoppani, ma forse in generale per ogni uomo, la ricerca scientifica costituisce quindi una sorta di imperativo interiore.

Il secondo punto si pone come una piccola chiosa, abbastanza marginale, che risulta però piuttosto interessante. Stoppani scrive che «la scienza non deve essere vanagloria di sapere, né brama di far parlare di sé, né altre sciocchezze che non valgono la pena di arrischiarci nemmeno un capello». Il rischio dell’esibizionismo e del carrierismo tra gli scienziati viene riconosciuto da lui come ridicolo. «La scienza – afferma – è amore del vero per il bene dell’umanità». In tanti casi, dunque, è un dovere. E talvolta il fatto di reputarla come un servizio al bene dell’umanità comporta anche il dover affrontare i rischi impliciti nella ricerca. Ma – a un certo punto Stoppani si domanda – è giusto «arrischiare la vita per qualunque ragione scientifica? Per sapere, ad esempio, se quella cima del monte è di granito piuttosto che di serpentino o se il barometro vi segna 3000 metri piuttosto che 3010?». A suo parere i rischi che la ricerca scientifica talvolta impone vanno corsi non per brama di fama o desiderio di notorietà, ma soltanto qualora servano al vero bene dell’umanità.

Terzo punto: la scienza è per una conoscenza condivisa, per una cultura edificante e per una utilità pratica. Stoppani sta raccontando di un’esplorazione dei ghiacciai, effettuata per rilevare la presenza di forme viventi, al seguito di uno scienziato che lui accompagnava: «Importava moltissimo al signor Theobald poter conoscere i limiti di quel gruppo granitico per segnarlo sulla carta geologica». L’impresa scientifica viene svolta da pochi, ma a beneficio di tutti. Scrive ancora: «Chi vi dice che salire in groppa a una montagna, toccare una cima mai segnata da piede umano, sia arrischiare la vita?». Tale obiezione veniva facilmente rivolta all’alpinismo, di cui Stoppani – che fu tra i fondatori del CAI a Milano e ammiratore di tutte le imprese compiute dall’associazione fin dai tempi della fondazione inglese – era cultore appassionato. Val la pena di rischiare la vita per andare a vedere la cima di una montagna? Risposta: «Non sempre è rischioso», perché la tecnologia ha reso tali esplorazioni molto meno azzardate di quanto si possa pensare o di quanto l’umorismo popolare esprima. Una ricerca, dunque, a servizio del bene di tutti, compiuta da pochi e con buon senso. Mi pare che simili posizioni evidenzino come la sua personalità fosse serena, non esasperata da tensioni (nonostante ne avesse dovuto affrontare alcune molto forti, sia sul fronte ecclesiale, sia su quello sociale e politico).

Il quarto punto riguarda l’esaltazione della scienza e dei suoi meriti, attraverso immagini che forse alla nostra sensibilità suonano un po’ romantiche, e che tuttavia mi permetto di riportare perché in esse trovo tracce della spiritualità del nostro prete scienziato, che probabilmente potrebbero delineare una “spiritualità dello scienziato” tout court. Riporto una frase piuttosto nota: «Quante volte, svolgendo il volume di Antonio Rosmini, il grande luminare del nostro tempo, inebriato da quelle sublimi speculazioni che mi rapivano al di sopra del sensibile, campo ordinario delle mie meditazioni, e tenevano librato il mio spirito nelle sfere del puro intellegibile, andavo dicendo tra me: davvero ho scelto la parte peggiore!». Contemplando e ammirando Rosmini nell’aspetto speculativo del suo pensiero, Stoppani riflette: «Perché condannarmi da me stesso a strisciare in queste bassure della materia, quando potrei libero aggirarmi sulle alture luminose del mondo morale ed elevarmi fin presso gli immoti sgabelli di Dio?». Si domanda se la sua professione scientifica non sia, in fondo, un condannarsi a strisciare invece che elevarsi nella contemplazione filosofica. A poco a poco, però, arriva a concludere: «Mi accorsi che avevo torto; che la storia naturale occupa uno dei primi posti nell’ordine delle scienze, non soltanto per il diletto che vi si attinge o per l’utile materiale che se ne può ricavare, ma per vantaggi d’ordine molto superiore, quale è niente meno che il nostro perfezionamento intellettuale, morale e religioso. Perché avrebbe Iddio creato questo universo se non fosse ordinato al fine supremo dell’uomo, a quella felicità che egli non prova che levandosi fino a Lui?». Dentro una visione del mondo come creato, dedicarsi a studiarlo significa entrare nelle intenzioni di Dio. La scienza viene dunque intesa quale fattore di elevazione morale, non soltanto come incremento di competenze scientifiche e di utilità tecnologica.

Il quinto punto che mi piace ricordare riguarda lo stupore. Scrive l’abate: «Non avete mai passato una notte in montagna, nella capanna di un pastore, in faccia a un ghiacciaio, a più di 2000 metri sopra il livello del mare? Vi assicuro che ne riporterete una di quelle vive e piacevoli impressioni che non si cancellano più». Perché, dopo tanti anni, una simile esperienza può ancora essere ricordata con tanta intensità? Perché una parte di questa memoria indelebile è inscritta nella fatica di esserci stato, nel freddo provato. Lo stupore diventa così un principio di elevazione morale, che lascia un’impressione profonda nell’animo.

L’ultimo punto concerne infine il tema del libro da lui redatto. Stoppani domanda: «Un libro che avesse per fondamento il vero, per pregio la naturalezza, per scopo l’istruzione e il miglioramento morale […] dovrebbe essere un buon libro, non è vero?». E conclude con modestia: «Ne giudicherà il lettore». Da parte nostra possiamo rispondergli: “Sì, hai scritto bene, caro abate Stoppani. Ci hai istruito con garbo e accessibilità, rendendoci capaci di amare il nostro Paese”.