1. Politica e profezia
Il potere, il re Acaz, si dichiara indifferente verso Dio: «Non chiederò il segno, non voglio tentare il Signore». In altre parole Acaz dichiara che non è interessato ai segni di Dio. La politica, la diplomazia, i rapporti di forza del regno di Israele e dei regni circostanti non c’entrano con Dio e con la sua parola, i suoi segni. Le cose umane devono risolverle gli umani: che cosa c’entra Dio?
La laicità dello Stato, della politica, delle scelte amministrative e gestionali è un’acquisizione tipica dei Paesi di tradizione cristiana: al contrario di quei Paesi dove la politica è governata dalla religione, nei paesi di tradizione cristiana, in particolare cattolica, la politica è autonoma. Dalla religione non si può dedurre se sia opportuno fare una guerra o fare la pace, se sia opportuno investire per fare una scuola o per fare un ospedale o una bomba.
La laicità della politica e delle sue decisioni è talora intesa non come autonomia, ma come insignificanza e irrilevanza del riferimento a Dio per le scelte politiche. Tu fai quello che vuoi, tu decidi quello che ti conviene e per Dio va bene così: la religione, la parola di Dio, la rivelazione di Gesù non hanno niente da dire.
Ma il profeta si fa avanti per rimproverare la riduzione della politica e del potere ad una questione di convenienza: è bene quello che rende di più. Non è vero che quello che è bene dipende solo dall’interesse o dalla forza. Il profeta contesta la politica che ignora i segni di Dio. Il profeta è voce scomoda, il profeta diventa un fastidio, si rende antipatico.
2. La missione della profezia
Il profeta infastidisce il re, la sua politica, la sua diplomazia, quindi anche l’economia, la logica degli investimenti. È antipatico e si mette in pericolo. Ma non può tacere. La sua missione ha preso forma e forza non da una ambizione umana, non dal desiderio di essere all’opposizione. Piuttosto è stato l’incontro con Dio il principio della sua missione. Fa parte della missione del profeta di non essere d’accordo, di contestare in nome di Dio la prepotenza del potere, di difendere il povero, l’orfano, la vedova, il forestiero. Di ricordare ai potenti che sono solo servi.
Dunque, si potrebbe dire, i profeti non fanno politica, ma correggono la politica, stimolano chi è nella condizione del potere ad un esercizio del potere come servizio, infondono coraggio ai popoli spaventati. Non sono consolatori a buon mercato: invitano piuttosto a fidarsi a Dio e a riconoscere l’opera di Dio e il suo modo di operare.
3. «L’angelo Gabriele fu mandato da Dio […] a una vergine, […] Maria».
Il segno che il profeta indica al re presuntuoso è la nascita del figlio, dell’Emmanuele. È la profezia di Gesù per indicare come Dio opera nella storia e invitare a conversione: dalla presunzione all’umiltà, dal potere a servizio dell’ambizione al potere a servizio del povero e del misero, dall’interpretare la vita come carriera ad interpretare la vita come vocazione.
La profezia si compie nella storia di Maria che comincia proprio così, con una chiamata, con l’intelligenza e la sapienza della risposta, della disponibilità ad essere la serva del Signore.
La parola del profeta e la testimonianza evangelica indicano la via della conversione. Allora è possibile la conversione, allora è offerto il perdono.
La storia della Ca’ Granda è segnata da queste storie di conversione: le ricchezze private convertite in patrimonio della città, il potere convertito in servizio, la scienza messa a servizio della salute e della cura.
Celebrando la festa del perdono, non possiamo sfuggire alle domande che il profeta pone a chi ha responsabilità e potere per invitare tutti a chiedere perdono, tutti a decidere la conversione possibile, tutti a partecipare alla festa della liberazione dal peccato e della promessa della salvezza eterna.

