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Mons. Pasquale Macchi, segretario personale di papa Montini nel periodo milanese prima e romano poi, racconta la parabola umana e spirituale del successore di Pietro. Ne ricorda in particolare la grande umanit� e il desiderio di comprendere le istanze della gente.intervista di Rita Salerno

Paolo VI e la sua citt�

4950 - per_appuntamenti Redazione Diocesi

23 Novembre 2009

E’ stato a fianco di Papa Paolo VI per ben ventiquattro anni. Nessuno meglio di lui ha conosciuto il Pontefice che guidò la Chiesa nei difficili anni del dopo concilio e del caso Moro. Dalle sue opere sul Papa bresciano, l’ultima delle quali è uscita per i tipi della Morcelliana con il titolo “Paolo VI nella sua parola” spicca evidente una figura umile e generosa, schiva ma aperta nei confronti dell’uomo. Di ogni uomo, anche il più derelitto. Anche quello pronto ad attentare alla sua vita. Come accadde a Manila. Di Giovanni Battista Montini, da tutti conosciuto come Paolo VI, ama ricordare il suo sorriso, il suo amore infinito per Milano e l’umiltà come stile di vita. Insomma, una personalità ricca di sfumature che solo chi gli è stato accanto può tratteggiare. E questo è stato monsignor Pasquale Macchi, segretario personale di Papa Montini nel periodo milanese e romano poi. Racconta con commozione la parabola umana e spirituale del Successore di Pietro chiamato a fare da guida alla Chiesa in un momento storico oscurato da inquietudini. L’innata riservatezza e il pudore velano agli occhi degli estranei il rapporto speciale che lo ha legato per oltre un ventennio a Papa Paolo VI. Un legame indissolubile, persino davanti alla morte. Ricorda con emozione i nove anni trascorsi al Sacro Monte di Varese, dove ha restaurato tutte le cappelle del Rosario, e gli otto da arcivescovo prelato di Loreto. Una vicenda straordinaria, un’esperienza indubbiamente fuori dal comune di cui parla con passione. Lo sguardo penetrante e il luminoso sorriso di Papa Montini: questi i due tratti caratteristici del Pontefice bresciano che ama ricordare. “Devo dire che Papa Paolo VI aveva un rapporto con le persone di estrema umanità” – tiene a precisare Macchi – “Nel mio cammino, non ho trovato nessuno che lo eguagliasse quanto a sensibilità. La sua umanità si manifestava in modo particolare attraverso il suo sguardo. Occhi mai inquisitori, mai di rimprovero. Ma di amore per il prossimo. Il suo desiderio era di penetrare nell’animo umano per poterne comprendere le istanze più profonde. Per arrivare ad un rapporto sincero, profondo ed intimo. Quanto al suo sorriso, quello più bello che gli ho visto dipinto sul volto fu quando subì l’attentato. Ricordo di essere riuscito a prendere per il collo l’uomo, allontanandolo dal Papa. Istanti velocissimi in cui, girandomi verso di lui, colsi nel viso di Papa Montini una punta di rimprovero per la mia reazione violenta al gesto dell’attentatore. Che subito dopo diede spazio ad un largo sorriso che non dimenticherò mai. Espressione della gioia di chi sceglie di donarsi interamente a Cristo fino all’estremo sacrificio”. Papa Paolo VI era consapevole delle responsabilità insite nella sua missione al servizio della Chiesa. “E’ arrivato alla guida della Chiesa in un momento storico molto delicato. Anni difficili, quelli vissuti nel secolo scorso, come il periodo conciliare e la contestazione che ha avuto profonde risonanze all’interno della Chiesa. Sicuramente, il momento più difficile perché dalla prima sessione si era delineate questioni complesse e di non facile soluzione. Non dimentichiamo che, dopo il Concilio, c’è stato il periodo della contestazione che ha avuto risonanze profonde anche nella Chiesa. Uno scenario che da subito lo vide totalmente impegnato in prima linea per diffondere la Parola di Cristo e per far superare il momento critico”. Ma è noto anche l’amore da lui nutrito nei confronti dei mezzi di comunicazione di massa…. “Papa Montini era figlio di un giornalista, direttore del giornale di Brescia. In casa ha respirato l’atmosfera del quotidiano. La passione e l’attenzione per la notizia ha affinato in lui una particolare sensibilità nei confronti di questi mezzi. Ha sempre seguito, da Roma, le vicende dell’Osservatore Romano e delle testate italiane ed estere. Aveva una speciale attenzione per il mondo della comunicazione, televisione compresa di cui comprese le potenzialità fin dal periodo milanese”. Dalle pagine emerge chiaramente il rapporto di tenerezza e di amore dell’arcivescovo Montini nei riguardi della sua Milano che guidò per due anni, prima di salire al soglio pontificio. “Posso dire l’arcivescovo Montini ha amato Milano di un amore veramente straordinario. A tal punto che la considerava la sua città. Ne sono un esempio l’inno per il Duomo, un vero capolavoro, e le splendide pagine scritte per i ragazzi delle scuole di Milano. Ne è una prova l’esperienza della missione di Milano, a cui ha dedicato tutto se stesso, visitando per due anni i luoghi di incontro, le fabbriche e le parrocchie. Non ha dimenticato gli ammalati e i carcerati. Per due anni, tanto è durata la missione, Montini ha speso tutto se stesso per questa missione che si è avvalsa di più di ottocento predicatori. Posso dire che ha avuto un incontro davvero personale con la città nei confronti della quale ha sempre nutrito una dedizione totale, frutto affettivo, specie nei confronti della popolazione. Mai avrebbe voluto lasciare Milano. Pensava di dover concludere la sua vita e la sua missione sacerdotale nel capoluogo lombardo”.