In occasione della visita pastorale alla Città di Milano, sua Ecc.za Mons. Mario Delpini ha incontrato i giovani del Decanato Cagnola-Gallaratese-Quarto Oggiaro: un’occasione per mettere a fuoco alcuni temi che ritornano nei confronti con i giovani, tra le incertezze del presente e il senso di una scelta di vita cristiana, tra le proposte di una cultura individualista e la promessa di orizzonti più grandi verso cui apre la fede in Cristo

Sara Cainarca
Servizio per i Giovani e l'Università

Arcivescovo - Visita pastorale Cagnola-Gallaratese-Quarto-Oggiaro - Sito

Martedì 31 gennaio 2023, Parrocchia di Santa Maria Assunta (Certosa di Garegnano). Le domande dei giovani e dunque i loro desideri, che li smuovono in questo oggi, incontrano le risposte dell’Arcivescovo che, giunto ormai a più della metà del suo percorso di Visite pastorali, mette a fuoco spunti sempre più affinati (e forse anche in qualche misura affettuosi) per provare a dare riscontri a ciò che palpita nel cuore dei giovani con cui si sta confrontando: il senso della vita, il significato dell’essere cristiani, l’importanza delle scelte, la necessità di una pratica educativa con al centro la relazione di affetto e stima.

Il dialogo è denso e nelle risposte alle quattro domande emergono delle coordinate che si intrecciano l’una con l’altra. Al centro sembra esserci una tensione tra due poli, due sentimenti contrastanti che abitano il cuore dei giovani. Da un lato la Fede, la scelta di essere cristiani, la passione per la Chiesa, lo spendersi per gli altri partecipando alla vita dell’oratorio, come educatori o allenatori o svolgendo altre attività, l’intuizione della gioia che sembra indicare che questa sia la strada buona da percorrere; dall’altro le incertezze, il sentirsi inadeguati davanti alle provocazioni velate nelle quali a volte ci si imbatte al lavoro o in università (come rispondere alla domanda “ma tu sei credente?”), i dubbi sul futuro, le sfide da affrontare per chi sta cercando un proprio posto nel mondo e la sensazione – a volte – di essere abbandonati a se stessi.

L’Arcivescovo è comprensivo e chiaro: ci troviamo davanti ad un bivio che pone una scelta tra due vie radicalmente differenti. Da un lato, la mentalità contemporanea basata su un principio di individualismo sempre più radicalizzato, secondo cui posso decidere cosa è bene e cosa è male senza dover considerare null’altro se non ciò che sento e penso io. Dall’altro lato, appunto, la proposta di una vita cristiana. Ma in che cosa consiste? E quali differenti orizzonti apre (o preclude) ciascuna delle due strade?

Considerare le possibili vie è questione fondamentale proprio per un giovane. Nel momento iniziale di preghiera, durante il quale si è letto un estratto della Christus Vivit di Papa Francesco (Esortazione apostolica dopo il Sinodo dedicato ai giovani, marzo 2019), emerge con chiarezza l’importanza del tempo della giovinezza. Tempo di scelte, cambiamenti, maturazioni ed altre intuizioni per la propria vita. Sono anni in cui si può aprire anche la reale crescita per la e nella Fede. La relazione nella Fede diviene una relazione personale – non tanto un insieme di precetti da seguire – e la preghiera acquisisce sempre più consapevolezza nelle dimensioni di un dialogo diretto ad un “Tu” cui rivolgersi e di ascolto della Parola, che dialoga con la vita, interpellandola. La relazione nella Fede diviene una chiamata e la vita può essere intesa come vocazione: è Lui che si rivolge a me e mi chiede con amore di seguirlo. Insieme a Qualcuno, dietro a Qualcuno, camminando per Qualcuno. La giovinezza è allora lo spazio di un incontro che, se vissuto con pazienza e passione, dialogo e umiltà, può far fiorire tutta la vita che un giovane inizia a sentire ed intuire dentro sé. La forza delicata per questa fioritura piena sta nella fiducia in questa amicizia che propone il Signore.

“Vieni e seguimi!” Questo è anche il fondamento dell’essere cristiano: rispondere con la vita tutta intera a Chi ti dice “Sono tuo amico”. La vita e la Fede sono la storia di una grande amicizia. “Ma tu sei credente?” Essere credenti non è essere creduloni, ritenere vere alcune cose o aderire ad una dottrina, ma è fidarsi di Gesù, un amico che incontro – nelle pagine del Vangelo, nell’Eucarestia, a volte anche nei momenti di preghiera personale – e che mi invita a camminare insieme. Ogni incontro con qualcuno lascia un segno, soprattutto se è un incontro in cui ci sentiamo abbracciati e voluti bene, così che smuove qualcosa in noi, ci emoziona, ci mette in moto. Mi fido di Gesù, di quell’incontro che ho fatto, di una Parola che mi propone di seguirlo lungo la sua stessa strada. Se si segue questa intuizione, se si sceglie di farlo per ogni proprio passo, due sono le raccomandazioni da tenere nella mente e nel cuore affinché non si tratti solo di parole, ma per lasciare che la Parola prenda forma e viva concretamente, dando forma alla quotidianità di ciascuno.

Primo: vivere da cristiani è cercare di vivere come Gesù, cioè di amare come Gesù: “questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io vi ho amati” (Gv 15, 12), dunque chinandosi sulle sofferenze degli altri, lasciandosi s-muovere dalla compassione; significa vivere il dialogo con il Padre ricercando momenti di preghiera, rispettare tutti. Vivere da cristiani è accogliere e seguire uno stile, lo stile di Gesù: non tanto fare cose per dimostrare, ma essere “mite e umile di cuore” (Mt 11, 29) in tutto ciò che si fa. Questo può bastare per testimoniare il valore di una scelta che rivela e apre una strada di resurrezione sempre possibile. E qui la seconda indicazione: la fiducia in Gesù è la fiducia in una promessa, promessa delle parole di una vita eterna e una gioia piena. Nell’incontro con Gesù viene offerta la possibilità di questo. E il desiderio vero verso cui si tende si espande e si dilata: la gioia irradia gli altri, la speranza ci rende “sale della terra” (Mt 5, 13; Mc 9, 50; Lc 14, 34-35), desiderosi che ciascuno si senta partecipe di questa stessa gioia.

Tuttavia spesso ci si sente disorientati e incerti. Si vacilla davanti alla responsabilità di rispondere alle domande dei più piccoli e dei ragazzi che molti giovani e giovani adulti impegnati nell’oratorio o già alle prese con una famiglia e dei figli si trovano ad accompagnare ed educare. “Come poter condurre in un percorso in cui ci sentiamo noi stessi in cammino?” Pochi giri di parole, un riferimento chiaro, una testimonianza limpida: come ci racconta il Vangelo, anche gli Apostoli che hanno vissuto con Gesù, proprio loro, continuano a mostrarsi imperfetti; anche quando Gesù Risorto si presenta loro c’è chi dubita, eppure… Eppure Gesù li ri-chiama e affida loro una missione: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura” (Mc 16, 15). Gesù ha bisogno di ciascuno di noi imperfetti: Lui crede in noi e si affida a noi perché ciascuno porti – anzi perché ciascuno sia – un segno del suo Amore. E là dove non sappiamo dare risposte, perché è normale che non abbiamo la risposta a tutte le domande, là dove ci sentiamo fragili e titubanti, quello è il momento di cercare ancora, come possiamo: cercare insieme, cercare nel Vangelo, cercare anche chiedendo a chi è più avanti di noi nel cammino.

Di segno opposto a ciò è però la mentalità contemporanea, fondata sulla cultura dell’individualismo che esaspera, persuadendo che siamo destinati a finire nel nulla e che siamo vivi per morire, intaccando anche la sfera personale, per cui spesso un giovane percepisce che la strada non c’è più e non sa dove andare. Ecco che torna il tema: essere cristiani è rimanere aperti ad un dialogo che genera altre infinite e inaspettate aperture, possibilità, resurrezioni, relazioni. Nell’orizzonte cristiano, intuire la propria vita come vocazione è intuire che c’è un Altro all’infuori di me e una Relazione che mi salva dalle chiusure dell’individualismo, spalancando la mia esistenza verso quella di tanti altri. Non sono in un deserto senza strade verso nulla, ma vivo e cammino mosso dalla chiamata di Qualcuno più grande di me, che mi conduce verso chi è più piccolo, verso ciascun prossimo, nella misura in cui mi lascerò coinvolgere facendomi io prossimo.

In ogni relazione, e tanto più nelle relazioni educative, nell’ambito dei cammini cristiani – e non solo – il motore deve essere il bene, l’affetto, l’amicizia che passa, scorre, genera: “il frutto più promettente dell’educazione è proprio questo, che ogni ragazzo si senta amabile e amato”, così che tale persuasione lo accompagni nella crescita. “Ciò che educa è innanzitutto l’amorevolezza”.

Stima, amicizia, familiarità sono anche il miglior canale per trasmettere e testimoniare la propria Fede, sia nei contesti più affini a noi sia in quelli che a volte si percepiscono come ostili. Testimoniare non è dimostrare qualcosa, ma portare qualcosa a qualcuno: portare uno stile caratterizzato da speranza, amabilità, mitezza e gioia, una gioia forse a volte un po’ sfuggente o soffocata, ma intimamente profonda e che per essere goduta a pieno chiede di essere condivisa. È così che l’Arcivescovo invita i giovani ad aiutarlo nell’opera di evangelizzazione che può semplicemente essere la vita di ciascuno che, mosso da questo Amore del Padre, si faccia fratello e sorella vicino/a ai propri coetanei, con un linguaggio comune e la familiarità che si crea nel nome di una relazione di gratuità e reciprocità che desidera il bene dell’altro e la sua crescita verso la versione migliore di sé, una relazione che ha nome “amicizia” la cui potenza è di far sentire ognuno amabile, amato e dunque amante.

Sentirsi soli è condizione diffusa e realistica: è così. Ma anche ci sono le condizioni per reagire: “mettiamoci in tre e possiamo fare quello che da soli non possiamo”. In definitiva, un po’ più di fiducia in se stessi, riconoscendoci amati, il senso di responsabilità gli uni verso gli altri e la possibilità di associarsi possono aprire strade che l’individualismo, il grande nemico, sbarra. Dunque, anzitutto, pensiamo insieme: così possiamo costruire qualcosa!

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