Venerdì 21 novembre 2025 l’Arcivescovo è stato accolto all'Oratorio San Marco di Cologno Monzese dai giovani del Decanato: un momento di ascolto e confronto che ha inaugurato la visita pastorale e che ha permesso di riflettere insieme sull’essere giovani e sull’essere Chiesa oggi

Letizia Gualdoni
Servizio per i Giovani e l'Università

Visita pastorale Arcivescovo - Decanato Cologno Monzese - Sito

Quali sono oggi le sfide che più interrogano i giovani? Come vivere la fede nella complessità della quotidianità, tra studio, lavoro, relazioni, dubbi e desideri di futuro? Attorno a queste domande si è sviluppata la cena che venerdì sera, 21 novembre, ha riunito i giovani del decanato di Cologno Monzese, in occasione della visita pastorale dell’Arcivescovo Mario Delpini.

Un dialogo schietto, vivace, profondo, tutt’altro che scontato, al quale ha preso parte anche l’Arcivescovo, nella semplicità della cena insieme: i giovani hanno condiviso ciò che li appassiona e ciò che pesa, ciò che li motiva e ciò che li disorienta. Si è parlato di social e relazioni autentiche, di università e mondo del lavoro, di fede e impegno sociale, di ambiente e responsabilità. Domande nate dall’esperienza concreta di chi cerca un senso vero dentro la complessità del presente.

A introdurre la serata è stato don Fabio Molon, responsabile della Pastorale giovanile della città di Cologno Monzese: «Facciamo le domande al Vescovo – ha detto – non perché pensiamo che abbia la risposta a tutto, ma perché il suo compito è confermarci nella fede. Per questo ci mettiamo in ascolto: sappiamo che la fede può essere sostenuta e guidata dalla sua parola».

Le domande, raccolte nelle settimane precedenti dai vari gruppi giovanili, sono diventate la trama di un incontro a più voci, dove l’Arcivescovo ha offerto criteri, sentieri, orientamenti.
Una delle prime questioni ha toccato il senso di appartenenza alla Chiesa diocesana e universale, percepita talvolta come distante.
L’Arcivescovo è stato chiaro: «Nessuna parrocchia vive per se stessa. Esiste perché è collegata alle altre. La Chiesa è un popolo che cammina insieme su tutta la terra. Se un gruppo si chiude, dimentica che non è “tutto”: i cristiani pregano, stanno insieme e si vogliono bene per rendersi sempre più conto che dobbiamo pensare agli altri, pregare per gli altri, non perché ci piacerebbe avere un gruppo che è fatto, invece di 50 persone, di miliardi di persone, ma perché noi siamo in debito verso gli altri. Noi dobbiamo dire che c’è una speranza e abbiamo incontrato il Signore perciò dobbiamo allargare gli orizzonti».

Tra le domande più sentite, quella sull’obbligatorietà della Messa domenicale: «Non ha più senso andare quando me la sento, quando ci riesco senza troppi sensi di colpa, quando c’è il prete che predica bene?». L’Arcivescovo ha risposto con franchezza: «Sono impensierito quando sento dire: “non ho voglia, quindi non vado”. Il Signore non ci obbliga, ma senza Gesù – come il tralcio staccato dalla vite – non possiamo vivere. Vorrei evitare che la Messa sia considerata un obbligo e mi piacerebbe che l’incontro con Gesù fosse considerato un nutrirsi, un dissetarsi, un trovare fondamento alla speranza, al perdono… Gesù dice “io sono il pane, la sorgente dell’acqua viva”. Andare a Messa è incontrare Gesù, Gesù è quello di cui abbiamo bisogno per vivere una speranza, il desiderio di comunione che ci raduna tutti. Se uno dice: non me la sento perciò non vado, forse vuol dire che c’è una visione di Gesù come di una specie di affetto, amicizia marginale, di cui posso fare a meno… Andare a Messa non è un adempimento imposto per una qualche misteriosa ragione, ma è la proposta di una comunione che rende possibile vivere da cristiani».

Alla domanda sui pregi e difetti della Chiesa, ha preferito parlare dei cristiani che conosce:
«Sono generosi, fanno un bene immenso: oratori, Caritas, doposcuola, volontariato… questo è riconosciuto da tutti. Ma spesso non sono contenti di essere cristiani. Vivono la fede come un insieme di doveri, invece del dono della gioia che gli suscita. Se la vita cristiana è presentata solo come un dovere nessuno la desidererà. Queste due cose proporrei alla vostra riflessione: i cristiani sono bravissimi, fanno cose meravigliose e non sempre sono contenti di essere cristiani. Essere cristiani è credere in Gesù, e fare tutto perché guidati da lui».

Che cosa si aspetta la Chiesa dai giovani? Su questo punto l’Arcivescovo è stato diretto:
«Voi siete la Chiesa, non c’è una separazione. Se devo dire cosa si aspetta la Chiesa da voi… posso dire cosa il Vescovo si aspetta da voi. Io mi aspetto una cosa sola in sostanza: che voi siate felici, realizzando la vostra vocazione. Non intendo la vocazione come un progetto che Dio avrebbe già scritto, e deciso, ma una vita da vivere in dialogo con Lui. L’unica vocazione è diventare figli di Dio e vivere in comunione con Lui. Le scelte concrete vengono dopo, a poco a poco, in un dialogo, comprendendo cosa piace, i propri talenti, ciò per cui non si è fatti. Perciò: siate felici!».

La serata si è conclusa nella cappellina dell’oratorio con una veglia di preghiera. Alla luce tenue, l’Arcivescovo ha meditato sulla parola biblica che attraversa tutta la storia della salvezza: Non temere.
«Quando nella Bibbia l’uomo incontra Dio – ha ricordato – prova timore. Ma l’angelo dice: non temere. Dio non viene per far paura, ma per rivelare una promessa: vuole la tua felicità, il tuo compimento. Nei momenti di confusione, quando siamo tentati di tirarci indietro, arriva l’angelo e dice: non temere, Dio è con te».
Alcuni giovani hanno condiviso brevi testimonianze: dall’esperienza del Gruppo Samuele a Shekinah, dal servizio educativo alla scelta missionaria con il Pime. Storie semplici e luminose, segni di una fede che continua a crescere, anche nelle fatiche di oggi.

La voce di tutti i giovani si è unita infine in una preghiera che ha raccolto il senso più profondo della serata, di cui riportiamo alcune parole: «Signore Gesù, in mezzo ai messaggi del mondo che ci attirano e ci confondono, tu ci dici: non temere. Fa’ che la tua voce diventi luce nelle nostre scelte quotidiane. Rendici testimoni credibili: capaci di rispondere al rumore del mondo con gesti semplici, parole buone, vite che parlano di te senza paura».

Ti potrebbero interessare anche: