Alla gratitudine per l'arrivo del Pontefice si accompagna però la messa in questione: il Papa incarna col suo stile una provocazione

di don Sergio Massironi
collaboratore del Servizio diocesano per la Pastorale Sociale e il Lavoro
e Responsabile Pastorale Giovanile del Decanato Seregno – Seveso

 

La visita del Papa a Milano è certamente una notizia. L’impegno di queste settimane è diffondere la percezione che si tratti anche di un dono. Francesco non ama viaggiare: i più attenti l’avevano intuito indagandone la biografia, ma ultimamente l’ha confessato lui stesso.

 

Lo immaginiamo affaticato e carico di preoccupazioni grandi come il mondo. Il suo spostarsi per un solo giorno da Roma, con un programma densissimo d’incontri, prova dunque la volontà decisa a incontrarci: generosa, paterna, mai ovvia. Ogni attimo avrà il valore non monetizzabile della sua offerta di sé. Le case nella periferia, i consacrati in duomo, i Milanesi in piazza, i detenuti a San Vittore, il popolo lombardo a Monza, i ragazzi della cresima a San Siro: per ciascuno un’attenzione.

 

Alla gratitudine si accompagna però la messa in questione: il Papa incarna col suo stile una provocazione. Il suo tratto è profetico. Fin dal suo nome, Francesco evoca la parola del Crocefisso: “Va’, ripara la mia casa che, come vedi, è tutta in rovina!”. I fedeli avvertono con quanta coerenza personale il successore di Pietro intenda innescare processi di riforma.

 

Viene a motivarci, a suscitare rinnovamento di intenzioni e strutture, evangelica semplicità e gioia missionaria. In una metropoli che ha ritrovato slancio e identità, per i cristiani la sfida antica è sempre nuova: stare nel mondo come l’anima nel corpo. Il Papa “in uscita” ci scuote dall’apatia e genera un popolo disposto a ripartire.