La prima tappa milanese di Francesco sarà in via Salomone. Don Augusto Bonora, parroco di San Galdino e decano del Forlanini, presenta il quartiere e dice: «Siamo un comunità viva, ci stanno a cuore i diritti della povera gente»

di Luisa BOVE

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Il 25 marzo papa Francesco sarà a Milano. La sua visita partirà dalle periferie, in particolare da via Salomone, le famose «case bianche». «Siamo molto contento, domenica scorsa in chiesa la notizia è stata accolta da un grande applauso – dice don Augusto Bonora, parroco di San Galdino e decano del Forlanini -. Per noi è stata una grande sorpresa e una grande gioia. Un dono inaspettato. Continuano ad arrivare persone che chiedono se è vero…».  

Quali sono le caratteristiche del quartiere?
Le «case bianche» sono un complesso di 474 appartamenti popolari, costruiti negli anni Trenta (allora erano case minime). Già allora i Vescovi avevano voluto che si creasse prima un dislocamento di chiesa e in seguito San Galdino (che oggi conta 4 mila abitanti, ndr). Quando negli anni Settanta le case minime, divenute ormai fatiscenti, sono state abbattute, sono state costruite le cosiddette «case bianche» o lotto 64. Don Giuseppe Rimoldi, uno dei preti fondatori del quartiere, rimasto qui 60 anni, ha spinto perché la chiesa non rimanesse distante. Così, tra il 1985 e il 1988, è sorta la nuova parrocchia in via Salomone 23. Le case minime erano luoghi in cui venivano relegati ex detenuti, prostitute, persone ai margini… Oggi le «case bianche» hanno le problematiche tipiche della periferia. Elencarle è quasi superfluo: c’è l’immigrazione, con un forte nucleo di musulmani, in particolare della zona del Maghreb, qualche latinoamericano e filippino; poi ci sono i rom, perché abbiamo vicino alcuni campi. Ci sono anche altre presenze problematiche e forme di abusivismo.

Come pensate di prepararvi alla visita?
Abbiamo iniziato con un Consiglio pastorale: pensavamo per esempio a un incontro con Andrea Tornielli sull’idea del Papa rispetto alle periferie. Ci sembra bello trovare qualche occasione per riflettere. Vogliamo prepararci anche con qualche iniziativa concreta prima della visita, coinvolgendo tutta la comunità, e in prossimità con una Veglia di preghiera. È un evento che ci supera, sarà quindi anche la Diocesi a dirci come muoverci.

Che cosa volete dire o mostrare al Pontefice?
Che la nostra è una comunità che condivide l’esperienza di vita, portando il bene che riesce. È una comunità viva, con tante persone volontarie che svolgono attività caritative perché le esigenze del territorio sono tante. Esistono diverse esperienze di solidarietà: Caritas, Centro di ascolto, prossimità agli anziani, distribuzione di alimenti e di vestiti, doposcuola per bambini, scuola di italiano per stranieri… Insomma, gesti di prossimità e tanto bene che accompagna le situazioni di difficoltà.

In occasione della visita del Papa, vorreste chiedere qualcosa all’amministrazione comunale?
Credo che il Papa stesso abbia voluto dirci che per arrivare al cuore di Milano vuole partire dalla periferia. Questo è molto bello e diventa un messaggio che lancia a livello sociale e politico. Se ci fosse più attenzione da parte dell’Aler e se la nuova amministrazione – come dicono – considera le periferie come una grande urgenza, credo che la presenza del Papa la renderà ancora più eclatante. Il diritto alla casa, al lavoro, alla sopravvivenza devono starci nel cuore, i bisogni della povera gente devono stare nel cuore della politica più di tanti altri diritti di cui forse si può fare a meno, rispetto a quelli fondamentali. Le nostre iniziative di condivisione sono gocce nel mare, servirebbe un’azione anche politica che, come diceva Paolo VI, è la forma alta di carità. Un intervento così potrebbe aiutare tanto la gente in quartiere.