La direttrice di San Vittore è molto soddisfatta della visita di Francesco che è riuscito a incontrare quasi il 90% dei detenuti. Un evento toccante che resterà nel cuore a tutti.

di Luisa BOVE

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Quando papa Francesco lascia San Vittore, per recarsi al Parco di Monza per la Messa, tira il fiato Gloria Manzelli, direttrice dell’Istituto di pena, dopo settimane estenuanti di lavoro e di tensione per la visita del Santo Padre. Ma tutto è andato bene. A caldo chiediamo un commento di questo evento eccezionale. «È stata una visita all’insegna della gioia e della serenità. Il Santo Padre ha potuto incontrare circa il 90% dei detenuti presenti presso questo Istituto penitenziario, nonché tutte le mamme con i bambini dell’Icam (Istituto a custodia attenuata per detenute madri, ndr) che abbiamo portato qui per l’occasione. Quindi li ha salutati a uno a uno e a ciascuno ha saputo dire una parola di conforto e di sostegno».

Poi c’è stato il pranzo…

«Sì, ha mangiato il menu che avevamo preparato: risotto, cotoletta alla milanese e panna cotta. Il Santo Padre ha potuto colloquiare con tutti i detenuti che erano presenti, circa un centinaio. Dopo il pranzo è uscito e ha incontrato in portineria gli operatori che non lo avevano potuto salutare prima. È stata un’esperienza toccante, profonda, emotivamente significativa e importante per tutti i detenuti. Non è stato un incontro confessionale, ma è stato un incontro di un uomo con altri uomini, di una persona con un’altra persona, con percorsi di vita completamente diversi, ma che comunque hanno saputo incontrarsi nella “rotonda” di questo carcere».

Che cosa porta ora nel cuore?

«Ci portiamo nel cuore una grande gioia per questa giornata e un ringraziamento per tutti gli operatori che hanno voluto organizzarla. Abbiamo lavorato tanto e credo che il Santo Padre ne sia stato soddisfatto e abbia capito l’impegno che ha pervaso tutti in queste settimane».

C’è un gesto o una parola che l’ha colpita in modo particolare?

«La volontà ferrea del Santo Padre di salutare uno a uno tutti coloro che ha incontrato».

Senza distinzione di nazionalità e appartenenza religiosa…

«È una popolazione multietnica ed eterogenea. Il Santo Padre ha stretto la mano a tutti a prescindere dalla propria fede religiosa, dal proprio credo, dalla propria provenienza. Tanti si sono commossi, erano emotivamente provati, ma a prescindere dal loro Dio. Hanno consegnato bigliettini, nel corso dei mesi avevano preparato dei piccoli regali e glieli hanno consegnati. È stato un bel gesto».

Le donne in carcere soffrono di più degli uomini. Che cosa ha detto in particolare alle mamme con i loro figli e alle altre detenute?

«Ha abbracciato i bambini, alcuni erano molto piccoli e li ha benedetti. Quelli che saranno in grado di ricordare credo che saranno entusiasti. Non ha detto nulla, ma anche lì ha incontrato la donna, la mamma, la figlia, la moglie, la sorella…». 

E quali altri reparti ha visitato?

«In “rotonda” ha incontrato 130 detenuti, poi altri 200 al primo raggio, circa 150 al sesto, e un centinaio al quinto e quarto, e nel corridoio ha salutato i detenuti del Centro clinico. Ha incontrato davvero detenuti e tantissimi operatori».

A voi ha detto qualcosa?

«A noi ha fatto i complimenti. Ha detto che i carceri gestiti da donne sono più organizzati e c’è un’attenzione maggiore. Come sempre le donne fanno la differenza, in qualunque tipo di organizzazione e di struttura, anche complessa. La passione che le anima infatti è molto più forte, molto più radicale di quella che può animare gli uomini».

I detenuti hanno rivolto delle richieste a papa Francesco?

«No, nulla. Mentre in passato, quando sono venute alte cariche istituzionali, hanno chiesto l’amnistia o provvedimenti di clemenza. Invece hanno chiesto e offerto preghiere al Santo Padre. Quindi hanno saputo offrire e questo è un aspetto importante, è stato un bel gesto».

Quella di San Vittore è stata la tappa più lunga di tutta la giornata…

«Sì. E ci fa piacere. D’altra parte la popolazione di questo istituto ha così bisogno di conforto e di incontro di uomini. Credo che lui abbia colto questo aspetto. Il carcere di San Vittore è una “periferia esistenziale” ed è popolata da persone che spesso sono sole sulla terra. E questa solitudine naturalmente la si avverte in tanti aspetti, non solamente materiale, ma anche dal punto di vista affettivo, emotivo. Comunque il Papa ha voluto stare con gli ultimi tra gli ultimi. E questo è un segnale che non passerà inosservato per molti anni. Inoltre ha smosso le coscienze di tanti milanesi, di tanti italiani, che hanno visto nel gesto del Santo Padre un atto di grande misericordia e di comprensione umana. Non giudica. E neppure noi dobbiamo giudicare, siamo esseri umani e non dobbiamo permetterci l’arroganza di giudicare un nostro simile».