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27 Giugno 2003

di Luca Frigerio

Altre voci, altre stanze. Danzano i ricordi tra gli sbuffi rococò delle sale ammantate, e un’eco lontana li accompagna e li invita. Timido entra dalla finestra un raggio di sole, sostando incerto tra il grande scrittoio e un vaso di fiori: non splende, ma accarezza, e poi svanisce. Fuori tutto è quiete. Tace la quercia, immobili stanno le siepi, trattenute come nell’attesa. Eppure qualcuno c’è. Qualcuno che s’affaccia alle balaustre più alte, e guarda, e sorride. Altre voci, altre stanze. Pare sospesa in un dolce incantesimo, la Villa Della Porta Bozzolo a Casalzuigno. Un incantesimo di cui forse i graziosi putti del parco sanno e non dicono, un segreto che i passeri nascosti fra i rami conoscono e non svelano. E a noi, in fondo, sta bene così, felici di perderci tra le stanze orlate d’affreschi, sorpresi di vagare tra gli appartati viali di un giardino da fiaba. Piacevole è lo sguardo attorno, che si posa sui morbidi rilievi della Valcuvia, tremuli nella bruma d’autunno. Varese è vicina, ma i riflessi delle acque del Verbano sembrano avere qui influenza maggiore. Una tavolozza semplice, fatta di verdi sfumati, di bruni terrosi. Compatti boschi di castagni, prati grassi ed estesi, orti generosi. E poi vigne domestiche, sempre più rare ma, proprio per questo, curate grappolo a grappolo. Anche la bella villa di Casalzuigno, d’altra parte, nacque con vocazione agreste. Seppur di gran signori, naturalmente. Fu Giroldino, della nobile schiatta dei Della Porta, a far erigere quassù una prima residenza di campagna attorno alla metà del Cinquecento, per nulla invidioso – forse – del fatto che alcuni decenni prima Francesco Sforza avesse dato in feudo questa valle a un suo fido consigliere, Pietro Cotta. A Zuigno i Della Porta, accantonata l’attività notarile, dovettero trovarsi davvero a loro agio: nessuna incombenza politica, nessuna noia amministrativa. Bensperando, nome d’insolito ottimismo, ampliò i possedimenti familiari nella zona e si sistemò in modo da vivere come un agiato fattore, e così fecero a loro volta i suoi discendenti: ampie cantine, stalle capienti, areati magazzini in cui stivare derrate e fienagioni. Una ricchezza agricola che ancor oggi possiamo facilmente intuire, osservando spazi e ambienti rurali che ben poco son mutati nei secoli. Le cose cambiarono invece con Gian Angelo III Della Porta, ma allora si era già al principio del XVIII secolo. Ciprie e parrucche, abiti sgargianti e ricche sete cominciarono a far bella mostra di sé nella villa varesotta, che da attiva masseria cominciò sempre più a trasformarsi in «luogo di delizie», come gli aristocratici lombardi del Settecento amavano chiamare i loro allegri – e spesso chiassosi – ritiri.