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Intervista

«Verso l’Expo puntando
a un’integrazione quotidiana»

Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori all'Università degli Studi, riflette sulla città multietnica nella prospettiva dell'evento del 2015

di Pino NARDI

15 Dicembre 2013
Maurizio Ambrosini

«Milano deve diventare capace di collegare la propria visione della città e della convivenza tra i diversi alla grande sfida dell’Expo». Lo sostiene Maurizio Ambrosini, docente di sociologia dei processi migratori all’Università degli studi di Milano e dirittore della rivista Mondi Migranti.

Nella sua riflessione l’Arcivescovo paragona l’energia operosa degli artefici della rinascita di Milano nel dopoguerra alla laboriosità degli immigrati…
Credo sia importante l’idea di declinare la milanesità al futuro e vedere come questa città sia sempre stata rivitalizzata da ondate di nuovi cittadini, che portavano la loro speranza di un futuro migliore e l’operosità al servizio dello sviluppo. Spesso anche in passato non è stato facile integrarli, le tensioni c’erano anche nel dopoguerra evocato dal Cardinale; ma la grandezza di Milano è stata costruita proprio riuscendo ad andare oltre le resistenze, le piccole chiusure, gli egoismi e le diffidenze reciproche, costruendo benessere per le famiglie e sviluppo per tutti. Con una capacità di visione di governo, per cui le politiche del passato non si sono mai lasciate catturare dai sentimenti di diffidenza e di repulsa nei confronti dei nuovi arrivati. Sono andate oltre, costruendo una città migliore.

Dopo più di 20 anni di tensione sui temi dell’immigrazione anche dal punto di vista politico, le affermazioni del Cardinale sono il segnale di una maggiore integrazione in atto? Oppure è solo perché i giornali non amplificano le polemiche?
In questo momento, lo si vede anche nei sondaggi, la crisi economica tende ad avere priorità rispetto alle questioni della sicurezza e dell’immigrazione. Però, nello stesso tempo, serpeggia l’idea che in fondo degli immigrati non abbiamo più bisogno, che ne sono venuti troppi, che dovrebbero tornare a casa loro. Quindi un senso comune sotto traccia fatica ad accettare l’idea di una società multietnica e quindi più che mai è necessario coltivare il senso dell’apertura e dell’accoglienza reciproca.

E la comunità cristiana è chiamata ad alimentare questo percorso di integrazione, accettazione e solidarietà…
Il suo ruolo è stato di grande rilievo in questi 25 anni di apertura multietnica di Milano e della società italiana e credo che continuerà a esserlo anche nei prossimi anni, pensando a un’immigrazione più stabilizzata, fatta più di famiglie, di seconde generazioni, di persone che cercano di far parte della vita normale. Il tessuto parrocchiale, le attività sportive degli oratori, la catechesi, i doposcuola… Anche per la Chiesa deve passare da servizi di emergenza all’integrazione quotidiana. È una sfida: passare da un’attività lasciata agli eroi della carità a una responsabilità più diffusa e quotidiana.

Il Cardinale ha riproposto il concetto di meticciato come una presa d’atto di un processo da governare…
C’è un multiculturalismo quotidiano che avanza, come emerge da una nostra ricerca sui nuovi vicini. Le persone nei caseggiati, nelle esperienze quotidiane, cominciano sempre più a conoscersi, a frequentarsi, a fidarsi reciprocamente, a costruire relazioni di buon vicinato, di aiuto reciproco, qualche volta di amicizia. Non so se questo sia meticciato, però di certo, dal punto di vista della realtà quotidiana, c’è molta più convivenza e incontro di quanto non si pensi e di quanto gli stessi protagonisti non riescano a esprimere nelle scelte politiche. Milano è piena di persone e famiglie che votano per la Lega o mugugnano contro l’immigrazione e poi hanno buone relazioni con i loro vicini immigrati. Ci sono nonne che, quando i bambini tornano a casa da scuola, se non hanno nessuno, se li portano a casa, offrono loro la merenda, nei casi più sviluppati li aiutano nei compiti in attesa dell’arrivo di mamma e papà. La Milano multietnica sta crescendo, anche se poi magari ci si lamenta dei troppi immigrati. Il problema, secondo me, è quello di convertire il cuore.

Quindi il vicino che conosci lo accetti, il fenomeno in generale lo rifiuti…
Sì, l’immigrazione con la “i” maiuscola fa paura, mentre l’immigrato in carne e ossa viene accettato e spesso anche aiutato. Quando nelle nostre famiglie abbiamo bisogno di assistenza per gli anziani, si accetta l’immigrato, naturalmente se è una brava persona. Anche tra loro ci sono molte brave persone e qualcuna meno garbata e meno simpatica.

L’Expo sarà una grande occasione, almeno questa è la scommessa, per Milano, la Lombardia, il Paese. Scola insiste sulla valenza educativa. Come lei vorrebbe l’Expo 2015?
Sulle presenze a Milano la mia ottica generale è un po’ scettica. Però spero che l’Expo sia un’occasione di consapevolezza del mondo cosmopolita in cui Milano è inserita. Per fare un esempio, si possono ospitare delegazioni provenienti da Paesi musulmani dicendo loro che a Milano è proibito avere una moschea e andare a pregare il venerdì? Una città che si propone come punto di riferimento mondiale di relazioni economiche e culturali non può concepire se stessa e governarsi in termini di chiusura localistica.