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Testimonianza

Una suora del Pime: «Bangladesh, un Paese in preda alla paura»

Suor Annamaria Panza, missionaria dell’Immacolata, ora è in Italia, ma a fine agosto tornerà nel Paese asiatico dove lavora da 12 anni, occupandosi anche di dialogo interreligioso. Ci racconta del conflitto in atto tra le fazioni politiche e delle reazioni all’ultimo attentato: «Nessuno si sente sicuro, nemmeno i musulmani»

di Luisa BOVE

8 Luglio 2016

Suor Annamaria Panza, missionaria dell’Immacolata del Pime, ha appreso dell’attentato a Dacca del 1° luglio scorso mentre era in Italia per una breve vacanza. Ritornerà alla sua missione verso fine agosto. Era partita la prima volta per il Bangladesh nel 2004: è stata prima a Khulna, poi nella diocesi di Rajshahi a Bompara e Muladuli, e dal 2010 è nella capitale. È impegnata nella Casa provinciale come segretaria e consigliera, «ma nel poco tempo che mi resta a disposizione – dice – lavoro con i giovani e per il dialogo ecumenico e interreligioso».

Com’era il clima prima della sua partenza?
Ci siamo accorti che la violenza aumentava e che uccidevano. In concomitanza il partito al governo ha iniziato a processare e giustiziare quanti avevano collaborato con i pakistani durante la guerra d’indipendenza, oggi i leader del partito islamico messo fuori legge. Allora costoro si vendicavano uccidendo altra gente, soprattutto indù o capi del partito al potere.

E poi?
Prima hanno iniziato uccidendo Cesare Tavella, il cooperante italiano. Sembrava un caso, perché l’ordine era di uccidere il primo bianco che passava per strada; quindi il gesto non era né contro un italiano, né contro un cristiano, ma contro l’Occidente, per fare notizia e perché si sapesse a livello internazionale. Volevano dimostrare che il governo non era così capace, non sapeva dare protezione e garantire la sicurezza agli stranieri. È stato ucciso anche un giapponese, ma non si è capito perché, dato che si era convertito all’Islam. Poi hanno colpito padre Piero Parolari.

Da allora è cambiato qualcosa?
Dopo l’attentato a padre Piero, l’ambasciata americana e quelle europee hanno comunicato al governo che, in mancanza di protezione, gli stranieri se ne sarebbero andati tutti (ma noi missionari saremmo rimasti…). In effetti dopo questa minaccia gli stranieri non sono più stati toccati. Solo negli ultimi mesi hanno ripreso ad ammazzare: bengalesi, un pastore cristiano, blogger e sacerdoti indù.

Quindi minoranze?
Sì, minoranza. E si capiva che a colpire erano gli estremisti islamici. C’erano sempre le due versioni: chi diceva che era l’Isis, chi il partito islamico all’opposizione. che voleva tornare al governo, dicendo che l’attuale non era in grado di farlo. Poi siamo arrivati all’attentato dei giorni scorsi…

Che però lei ha vissuto dall’Italia…
Sì. Quella sera, quando ho sentito la nostra tv parlare di un attacco in Bangladesh, ho pensato che potesse esserci coinvolto qualche italiano, perché se fossero stati solo bengalesi non avrebbero dato la notizia. Infatti hanno detto subito che tra gli ostaggi c’erano un italiano e un giapponese. In seguito si è saputo il resto…

Cosa pensa di quest’ultimo episodio?
Non credo che fosse un attentato contro gli italiani: sicuramente contro gli occidentali e i non musulmani, questo è chiaro. Quello che più ci fa paura è vedere l’incapacità del governo a gestire la situazione, perché ha impiegato 12 ore a intervenire e bloccare i terroristi. Sapevano già che gli ostaggi erano già stati uccisi e quando la polizia entra uccide: per cui non si capisce perché abbiano aspettato. È strano. Inoltre gli attentatori da dentro riuscivano a inviare messaggi e foto, quindi non erano stati neppure isolati. Anche questo è strano. Adesso c’è paura, anche perché abbiamo saputo di 200 giovani studenti bengalesi che non si sa dove siano finiti. Forse all’estero? Li stanno addestrando?

E la polizia cosa fa?
Nelle nostre missioni (a parte Dacca), dopo l’attentato a padre Piero la polizia è presente. Ma cosa possono fare due poliziotti in una missione se arrivano cinque terroristi? È un’operazione di facciata, non ci si sente sicuri. Ma noi andavamo comunque avanti a lavorare normalmente, non c’era panico. È vero, c’è stato l’attentato, ma il Paese è grande: in tutto il Bangladesh abbiamo 54 suore, di cui 7 italiane, 3 indiane e la maggior parte bengalesi. Ho sentito le mie consorelle e adesso hanno più paura. Speriamo.

Con quale spirito ritorna a Dacca?
Bisogna vedere cosa succede, nella speranza di capire meglio la situazione. Lo spirito è di poter aiutare, anche solo dando coraggio e sostenendo la comunità cristiana, che comunque ha paura. Ora anche i bengalesi hanno paura. E gli stessi musulmani. C’è insicurezza, non si sa cosa sta succedendo. In fondo il Bangladesh era un Paese abbastanza tranquillo. I musulmani sono moderati, ma questa nuova corrente crea scompiglio e sconcerto.