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Immigrazione

«Una Chiesa multietnica
che condivide la stessa fede»

Per monsignor Tremolada, Vicario per l’evangelizzazione e i sacramenti, le presenze di stranieri cattolici sono «una testimonianza molto preziosa per dire che esiste una “globalizzazione buona”»

di Luisa BOVE

4 Novembre 2012

Il Rapporto immigrazione 2012 della Caritas registra un aumento di stranieri in Lombardia: solo a Milano sono passati dal 16,4% del 2010 al 17,7% dell’anno scorso. Di fronte a questi dati, dice monsignor Pierantonio Tremolada, Vicario episcopale per l’evangelizzazione e i sacramenti, «è importante lasciarsi interpellare, perché non si tratta semplicemente di fenomeni sociali, ma di segni dello Spirito o, come diceva il Concilio, di “segni dei tempi”».

Le nazionalità più rappresentate sono quelle Filippine, Perù, Ecuador, Sri Lanka… Paesi di fede cattolica. Queste presenze sul nostro territorio come interpellano la Chiesa di Milano?
Sono persone che appartengono a etnie e culture diverse, ma condividono la nostra stessa fede, sono appunto cristiani cattolici. Questo offre l’occasione di comprendere meglio, non teoricamente, che la Chiesa è per sua natura universale, cioè “cattolica”; inoltre, che la fede è capace di creare legami veri e forti, anche più di quelli di sangue e di cultura; infine per dimostrare che si può vivere insieme da diversi, farlo con piacere e a reciproca gratificazione. È questa una testimonianza molto preziosa, un modo per dire che esiste una “globalizzazione buona” e che quanto sta succedendo è provvidenziale.

Sono sempre di più anche i bambini iscritti alle scuole primarie. Un’età che coincide con gli anni di preparazione ai sacramenti, all’iniziazione cristiana. Questo cosa significa per la diocesi e per le parrocchie ambrosiane?
La comunione nella fede esiste perché è grazia, ma chiede di essere perseguita e coltivata con passione e tenacia, dai singoli e dalle comunità cristiane. Penso in particolare a ciò che potrebbe accadere (e di fatto già accade) nelle nostre parrocchie e comunità pastorali quando ragazzi di diverse etnie compiono insieme il cammino dell’iniziazione cristiana. Immagino i momenti in cui i loro genitori raccontano gli uni agli altri le proprie esperienze di fede, legate alle proprie terre e alle proprie tradizioni; penso allo scambio di doni dei ragazzi di diversa provenienza in occasioni di momenti di festa; alla preghiera condivisa dei bambini e alla possibilità di imparare preghiere in altre lingue; penso al sostegno reciproco delle famiglie a tutti i livelli, anche economico; penso soprattutto alla celebrazione dei sacramenti: il semplice celebrare insieme ha una forza di comunione enorme. Poi alla scuola dell’infanzia, ma anche nella primaria e secondaria, la scelta di avvalersi dell’insegnamento della religione cattolica permetterà di trovarsi l’uno a fianco all’altro.

Sono in aumento anche le famiglie con almeno un coniuge straniero (in passato i single superavano le coppie). Occorrerà ripensare o tenere conto dei nuclei familiari di stranieri nelle proposte di catechesi degli adulti o di altre iniziative?
Occorrerà vincere la tentazione di chiudersi in gruppi etnici o addirittura di ghettizzarsi. Due paure vanno combattute: sul versante di chi è arrivato, la paura di sentirsi giudicato o discriminato; sul versante di chi vive qui, la paura di perdere la propria identità o, peggio ancora, la propria pretesa supremazia. Il mondo è da sempre multietnico, ma finora siamo stati abituati a vedere ogni etnia, cioè ogni razza, ben radicata nel suo territorio e quindi lontano da noi. Ora siamo molto più intrecciati. Siamo insieme sullo stesso territorio. La Chiesa, che per natura sua è multietnica, ha oggi l’occasione di mostrare meglio se stessa e di aiutare il mondo a vivere con maggiore serenità e consapevolezza la propria unità nella pluralità.

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