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A Triuggio l’Arcivescovo ha incontrato i team leader dei volontari

«Sappiate perché, ma soprattutto
per Chi fate i volontari»

Nel contesto del progetto di formazione del volontariato di Family 2012, il cardinale Scola ha indicato la necessità di essere volontari per testimoniare Cristo e il valore della famiglia

di Annamaria BRACCINI

5 Febbraio 2012

L’organizzazione di un evento di risonanza planetaria, come il VII Incontro Mondiale delle Famiglie, non è e non può che essere una macchina complessa, fatta di molte parti, meccanismi, ruoli e responsabilità, alcuni ovviamente di vertice e altri, non meno importanti, di base. Come i volontari, già oltre mille, e i loro team leader, che devono avere, come è ovvio, un’adeguata formazione. Ma – perché un ‘ma’ c’è – occorre qualcosa in più: l’essere volontario nei giorni di Family2012 impone che ci si chieda perché si fa questa scelta, ma soprattutto per Chi.
Lo dice con molta chiarezza il cardinale Scola che a Triuggio, presso la Villa Sacro Cuore, ha voluto incontrare personalmente le molte decine di team leader ritrovatisi per  una due giorni di studio e approfondimento.
«Certo, è necessaria una motivazione umana per questo impegno gratuito, ma se rimaniamo legati a una logica di tipo puramente tecnico e non recuperiamo il senso del per Chi lo facciamo, Cristo, non centreremo comunque mai l’obiettivo», spiega l’Arcivescovo in una sorta di training che ha però, il sapore di una vera e propria educazione pastorale di comunità.
Insomma, il management non basta – continua, infatti – «occorre essere consapevoli che la base di tutto è il Signore e farne partecipi gli altri, anche nell’attività organizzativa e volontaria».
In gioco, riflette il Cardinale, c’è molto di più di un evento seppure così rilevante: c’è la possibilità di testimoniare concretamente la fede, domandandosi sempre, però – ed è qui un altro aspetto che l’Arcivescovo sottolinea con forza – perché si promuovono questi incontri: «Perché credete, crediamo, nella famiglia», risponde subito.
«Di fronte a tanta confusione e incertezze, mai come oggi, è urgente tornare alle cose come sono, chiamandole con il loro nome: per noi la famiglia è unione tra un uomo e una donna, stabile, fedele e aperta alla vita. Certamente, specie nella società attuale, ci sono delle difficoltà a comprendere la vera natura della famiglia, derivanti anzitutto dalla frammentarietà in cui siamo immersi nella vita quotidiana, ma proprio il tema di Family ci aiuta a ritrovare un’unità». Un linguaggio e una grammatica universali che attraversano le culture diverse, le tradizioni e i continenti, si potrebbe aggiungere: infatti, la famiglia, che rimanda al mondo degli affetti, il lavoro e la festa, sono esperienze di ogni uomo e donna a tutte le latitudini. «Riunire coerentemente e armonicamente questi tre elementi, sentiti oggi come disgiunti, è una grande opportunità».
Chance anche ecclesiale, che avrà il suo cardine nella presenza del Santo Padre in terra ambrosiana. «Venuta straordinaria per l’occasione (l’ultima volta di un Papa a Milano fu 26 anni fa con Giovanni Paolo II) – nota l’Arcivescovo -, ma che dovremmo imparare o re-imparare a considerare ordinaria nella vita della nostra Chiesa locale e delle parrocchie. Troppo spesso si tende a dimenticare che il Papa è il successore di Pietro e che il suo insegnamento e magistero non sono uno tra i tanti, ma quello dell’unico vicario di Cristo».   
Incontro, dunque, non solo da organizzare, ma da sperimentare nel suo significato di Chiesa, pare suggerire l’Arcivescovo, per recuperare anche due criticità fondamentali «lo smarrimento del senso della differenza sessuale tra uomo e donna – che non è semplice differenza di genere, ma diversità iscritta nell’essenza stessa dell’umano e intrinseca all’io – e la differenza tra le generazioni».
Deriva da questa mancanza «l’incapacità di intuire la vera completezza della dimensione umana che è – a partire da una chiara compressione di chi si è  – capacità di attrazione tra uomo e donna, dono di sé nell’amore e nella procreazione e in quella  educazione che è la trasmissione dei valori nei quali si crede alle nuove generazioni».  
Tutti caratteri, questi, che attengono all’universalità dell’umano  e che, come credenti abbiamo il dovere di dire in prima persona, mettendoci in gioco, come volontari.  magari lavorando in uno stand o traducendo indicazioni per chi verrà dall’altra parte del mondo.

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