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Intervista

Petrosino: «L’uomo, un essere spirituale»

Il filosofo della comunicazione anticipa alcuni contenuti della relazione con cui inaugurerà i Quaresimali di Sant’Ambrogio sul tema “Non di solo pane vive l’uomo”: «Non viviamo solo di cibo, ma anche di sogni, di arte e di paure...»

di Annamaria BRACCINI

22 Febbraio 2015
ROMA 11-03-2009 CONVEGNO SULLA REDEMPTOR HOMINIS

SILVANO PETROSINO

«Ciò che vorrei dimostrare è, anzitutto, che l’uomo è un essere spirituale. In questa ottica, penso che sia utile riflettere sul tema più generale dello “spirituale” come categoria filosofica e antropologica». Il professor Silvano Petrosino, docente di Filosofia e Teorie della comunicazione presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, delinea così il senso complessivo della conversazione con cui aprirà il fortunato ciclo “I Venerdì di Quaresima”, proposto anche quest’anno dalla Basilica di Sant’Ambrogio. E continua: «Il titolo della mia relazione, “Non di solo pane vive l’uomo”, dalla famosa espressione del Vangelo di Matteo, fa riferimento a una verità che è sotto gli occhi di tutti, ossia che gli umani sono animali che vivono di nutrimento concreto, ma anche di sogni, di arte, di paure. Questo dato non può, in nessun caso, essere superato o rimosso. Anzi, vorrei aggiungere che l’uomo, per rimanere in un ambito relativo al cibo, è l’unico animale che non si limita a mangiare, ma apparecchia una tavola, l’abbellisce, ha inventato l’arte culinaria. E così si potrebbe dire anche per l’architettura o l’arte del vestirsi…».

In effetti, la dimensione spirituale dell’uomo è innegabile, ma forse si tratta di capirne bene il significato…
È esattamente questa l’idea che cercherò di approfondire: dire che ogni donna e uomo fa esperienza di un’alterità e che, dunque, la sua vita non è riducibile al “suo” solo mondo. Questa è appunto la radice dello spirituale dell’uomo: il suo non essere chiuso, ma l’aprirsi all’altro.

Non a caso, il titolo del Ciclo è “Nutrire lo Spirito”…
Un titolo interessante, che permette di affrontare un equivoco che permane, dopo duemila anni di tradizione occidentale, sul concetto dello “spirituale”. Categoria che, secondo una distinzione ormai divenuta molto familiare, si affiancherebbe-– o, meglio, si opporrebbe – a quella materiale, che riguarderebbe per esempio il cibo, il sesso, la terra. Dall’altra parte ci sarebbero “valori”, come vengono definiti in genere dal mondo cattolico, quali l’amore, l’amicizia, la solidarietà. Io dico che tale distinzione, che pure ha una sua utilità, può trasformarsi in una sorta di trappola, in quanto lo spirituale non definisce una “cosa”, ma un modo di essere. In questo senso, si può essere assolutamente spirituali in attività materiali, come il nutrirsi, e si può essere del tutto astratti o materialisti parlando di  amore o di giustizia.

Insomma, l’uomo spirituale è tale perché è consapevole che vi è l’altro e “dell’altro”, soprattutto l’“Altro” cui rimandiamo, come credenti, le nostre azioni. Per questo abbiamo qualcosa da dire riguardo ai temi di Expo?
Il contributo essenziale che le tradizioni religiose possono portare all’umano, e a iniziative che coinvolgono larga parte del mondo come l’Expo, è appunto ricordare che l’uomo è un essere spirituale. Ciò ha conseguenze sorprendenti, mettendo in circolo un’idea di uomo non banale. Il rischio che l’Occidente sta correndo, non dimentichiamolo, è quello di ridurre l’uomo a una visione falsa, nella quale il “sacro” espulso dalla “casa” umana rientra, per così dire, “dalla finestra”, in modo, come ricorda il sociologo Bastide, selvaggio o, nella migliore delle ipotesi, improprio. Si tratta, quindi, di riflettere su una delle questioni cardine del presente e del nostro futuro comune.