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DOPO EXPO

Ogni visitatore si domandi:
«Che cosa posso fare io?»

Nei dibattiti dei venerdì dell’Edicola Caritas, il cardinale Francesco Montenegro, presidente di Caritas italiana e arcivescovo di Agrigento, ha anche ricordato la grande solidarietà mostrata dai lampedusani nei confronti dei migranti sbarcati sull’isola

11 Settembre 2015

«Quando non ci sono le istituzioni, allora c’è la guerra tra i poveri e ti chiedi: chi è arrivato prima? Tu o io? Uscirne insieme è la risposta». Lo ha detto don Massimo Mapelli, responsabile Caritas nella zona pastorale a Sud di Milano, rispondendo alla domanda al centro del dibattito organizzato davanti all’Edicola Caritas “Prima gli italiani e dopo gli stranieri?”.
«Nell’Emporio della solidarietà che la Caritas gestisce a Cesano Boscone – ha ricordato don Mapelli – aiutiamo 1400 persone, per il 60% italiane, distribuendo l’equivalente di 7mila euro alla settimana. La crisi ha picchiato duro, molti licenziamenti. Si perde il lavoro e poi la casa. Alla povertà dilagante degli italiani si è aggiunta quella portata dagli stranieri. In questo contesto è ovvio che se si soffia sul fuoco e si mettono le paure sul mercato del facile consenso, si scatena la guerra tra poveri. Il problema non è a chi assegnare le case popolari ma costruirne in quantità sufficiente. O ci si salva tutti o non si salva nessuno».
Il cardinale Francesco Montenegro, presidente di Caritas italiana e arcivescovo di Agrigento ha ricordato la grande solidarietà mostrata dai lampedusani nei confronti dei migranti sbarcati sull’isola. «Le donne mettevano i thermos di té fuori dall’uscio, le famiglie aprivano le porte di casa. Poi hanno iniziato a spaventarsi perché si è detto che sarebbero arrivate centinaia di migliaia di persone, cosa che non è avvenuta. I lampedusani sono arrabbiati non con gli stranieri, ma perché si parla di loro solo quando ci sono i migranti, ignorando i loro problemi».
«Prima gli italiani o stranieri? Questa domanda mi fa venire in mente il peggio di quello che ho visto nei 40 paesi in cui ho vissuto tra Africa e Medio Oriente. Quando la gente ha iniziato ad aiutare solo il proprio clan, il membro della propria religione, o addirittura del proprio rito, le cose sono andate in genere sempre malissimo», ha detto Silvio Tessari, operatore di Caritas Italiana.
Sull’eredità di Expo, don Massimo Mapelli si è augurato che «Milano impari a ospitare il mondo non solo quando si mette in vetrina, ma anche quando bussa alla porta in carne ed ossa».
Il cardinale Montenegro ha auspicato che «i visitatori di Expo quando si chiuderanno i cancelli si chiedano: Che cosa possa fare io?».
L’appuntamento rientra nel ciclo di dialoghi-testimonianza “Dopo Expo vorrei…” ideato da Caritas per riflettere sull’eredità di Expo. Ogni venerdì sino a fine ottobre, davanti al piccolo padiglione che Caritas ha allestito a Expo Milano 2015, è previsto il confronto tra un esperto e un testimone, sollecitati da un giornalista, a partire da una domanda: quale contributo l’Esposizione deve lasciare alla città nell’ambito nel quale sono impegnati.
La decisione di organizzare un programma di incontri aperti ai visitatori nasce dalla convinzione che Expo è occasione di incontro e confronto, capace di generare un cambiamento autentico, a cominciare dagli stili di vita della città. Un’occasione che per realizzarsi deve essere stimolata, aprendo il confronto a tutti i cittadini e visitatori, oltre i circoli degli addetti ai lavori.
Questo cambiamento sarà, prima ancora dei numeri, il vero lascito per Milano e il Paese di Expo Milano2015. 
I dibattiti dei venerdì dell’Edicola Caritas continueranno anche sui social media, in particolare attraverso l’account @caritasinexpo, con l’hashtag #dopoexpovorrei.
 

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