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Gocce di cultura

Nicola e Saul Celora, La storia dei filosofi antichi spiegata ai ragazzi

Ares, Milano 2004. Illustrazioni di Benedetto Chieffo

Felice Asnaghi

5 Novembre 2013

Il libro, decisamente accattivante, si rivolge ai bambini, ma in realtà è consigliato a tutti  per la semplicità del linguaggio usato e le belle illustrazioni che vi si trovano.
L’incipit costituito da alcune domande chiave, aiuta il lettore a partire col piede giusto.
Chi sono i filosofi?

I filosofi, per farla breve, sono persone normali che hanno sviluppato una capacità eccezionale: la capacità di conservare anche da grandi la stessa curiosità dei bambini. E così, tutte le storie che hanno raccontato, sono nate dal desiderio di spiegare le ragioni di quel che hanno visto. Perché la curiosità vera spinge sempre a cercare il perché delle cose. Un bambino, quando al tramonto vede cadere il sole dietro ai colli, o nel mare, o in fondo alla pianura, trova naturale chiedere perché il sole va in là. Un filosofo si porrebbe la stessa domanda e spenderebbe magari una vita a investigare perché il sole segua, al suo coricarsi, una traiettoria piuttosto che un’altra.

E perché il filosofo viene chiamato filosofo?

Perché in greco filosofo significa proprio “amico del sapere”. Essere filosofi, infatti, significa un po’ come amare le ragioni che stanno dietro le cose e conoscere le cause per cui il sole segue una traiettoria piuttosto che un’altra. Interrogarsi su questo fenomeno, significa già essere sulla strada giusta per diventare sapienti.

E parlando del mondo che ci circonda c’è spontaneo domandarci: che cos’è? Come funziona?
Rispondere a questi quesiti è stato ed è il compito dei filosofi.
Dopo questa breve introduzione i due studiosi ripercorrono il lungo percorso della filosofia.

Il primo filosofo fu Talete di Mileto, in Grecia, nato seicento anni prima di Cristo. Figlio di un marinaio, conosceva l’immensità mare, sapeva cosa significava incappare in una tempesta o vivere in periodo di siccità.  Per lui il principio di tutte le cose era l’acqua.

Eraclitovisse a Efeso tra il VI e il V secolo a.C. il suo concetto base si può riassumere in una frase: tutto scorre come l’acqua verso il mare; anche il fuoco è perennemente in movimento essendo sovrano di ogni cosa perché dà la vita facendo morire per poi trasformare tutto ciò che tocca.

Pitagorafonda una scuola e diviene un grande maestro. Per lui tutta la realtà è fatta di numeri, e i numeri sono una cosa reale come le montagne o il sole che sorge. Così il mondo è ordinato dai numeri e prenderà appunto il nome di cosmo cioè “ordinato”. La natura e le cose che ci circondano sono sempre disposte in un ordine preciso ed è l’uomo che provoca disordine creando appunto il “caos”.

Parmenidein contrapposizione alle idee di Eraclito afferma che la realtà è unica ed immobile come la massa di una sfera. Per Empedocle (440 a.C. di Agrigento) tutto nasce da una mescolanza dei quattro elementi della natura: aria, acqua, terra e fuoco. Quando una cosa nasce, non nasce dal nulla; quando spunta un fiore dalla terra viene dal seme. E che cosa fa separare gli elementi? L’amore unisce e l’odio separa.

Anassagora di Clazomene(500 a. C.) di fronte al dilemma dell’immobilità di Parmeide e del movimento di Eraclito, propone un nuovo concetto dell’origine della vita (persone e cose): il seme. All’inizio i semi stanno tutt’assieme, fitti e immobili, poi il dio Nous (che significa mente) li governa.
Nel V secolo il regno della filosofia si sposta dalla campagna alla città. Nella polis si concentrano tutte le attività commerciali e ad Atene si forma il gruppo dei

Sofisti. Nella parte più alta della città: l’Acropoli, il governatore Pericle fa costruire all’architetto Fidia il Partenone, il tempio dedicato alla dea della salute Atena. Qui i Sofisti insegnano (a pagamento). Il motivo delle loro discussioni non è la natura ma i problemi sociali della città, i rapporti tra gli uomini e le sue istituzioni dando vita, secondo alcuni, ai concetti di democrazia e pace.

La filosofia di Protagora si racchiude in questo slogan: “L’uomo è misura di tutta le cose, di quelle che sono, per ciò che sono, e di quelle che non sono per ciò che non sono”. Il filosofo perora la causa che intorno ad ogni cosa si possono esprimere due ragionamenti contrari. Insomma tutti hanno ragione. Sarà, ma fu cacciato da Atene!

Socrate (470 a.C.) riporta al centro dello studio filosofico la ricerca di Talete (il perché delle cose), abbandonata, secondo lui dai Sofisti. Secondo Aristofane, che gli dedicò un’opera: “Le nuvole”, Socrate era il peggiore dei Sofisti; mentre Platone, discepolo di Socrate, nell’“Apologia” e nel “Simposio” lo descrive come un dio, un giusto; Semofonte lo dipinge come un mite. Per essere filosofi, racconta Socrate, occorre essere umili: “Sapere di non sapere”, cioè ogni uomo deve impegnarsi ad eliminare i pregiudizi che rendono impossibile la ricerca. Il pregiudizio è un’idea che ci facciamo ancor prima di aver verificato la cosa o la persona sulla quale abbiamo espresso un giudizio. Secondo Socrate non bisogna aver fretta di giudicare se stessi e il suo motto era: “Conosci te stesso” perché pensava che la sua missione fra gli uomini fosse di aiutarli a far emergere l’intelligenza e la conoscenza, aldilà dei pregiudizi. Non solo, in controtendenza con le abitudini del tempo predica che la felicità dell’uomo non sta nel corpo, ma nell’anima sede della conoscenza e del bene. Morì nel 399 bevendo la cicuta, dopo aver subito un processo ed essere stato condannato.

Platone(428 a.C.) è allievo di Socrate. Elabora il concetto dello Stato ideale dove i governanti amministrano con giustizia e rettitudine e tutti concorrono ad edificare il bene comune. Per lui lo Stato e come una persona, che rimane in salute se tutte le parti del corpo sono sane. Dopo l’ingiusta morte di Socrate abbandonò Atene e girovagò per la Magna Grecia facendosi conoscere. Al ritorno nel 367 fondò l’Accademia, una scuola costruita nel parco intestato all’eroe Accademo e un’altra a Siracusa. Il grande filosofo predilige il dialogo con i suoi studenti attraverso una specie di “dottrina non scritta”. In lui vi è la costante ricerca della verità. Un uomo è davvero libero solo quando cerca di trovare una risposta agli interrogativi più importanti della vita. Compito del filosofo è aiutare l’uomo in questa ricerca: una ricerca che considera pari al mangiare e al bere. La più grande scoperta di Platone è il concetto di “soprasensibile”, ciò che sta sopra il sensibile, cioè aldilà di quello che possiamo vedere e toccare e cogliere tutti i giorni con i nostri sensi. È il mondo delle idee che pur non essendo tangibili, esistono e tra tutte la più importante è quella del bene e dell’amore. L’amore verso la persona amata non potrà non soddisfare del tutto la sete del bello, del bene e di felicità di cui siamo fatti (ecco il motivo per cui parliamo di amore platonico).

Aristoteleè il più grande filosofo-scienziato che sia mai esistito. Il suo più grande desiderio: conoscere tutto e tutti. Nativo di Stagira al confine con la Macedonia, fonda il “Liceo” nel 335 a.C. nell’area dove sorge il santuario ad Apollo Licio e per questo divenne liceo. Una leggenda vuole che il nome peripatetico (“peripato”, composto da “peri” cioè intorno e “pàtos”, cioè passo, piede, che uniti significa “passeggio intorno”) derivasse dall’abitudine di Aristotele di insegnare passeggiando per trasmettere ai suoi discepoli l’amore per tutto ciò che è il mondo e per far loro assorbire l’essenza della natura. In realtà il nome deriva dai peripatoi  che erano i colonnati che reggevano il santuario.

Nella scuola si studiano matematica, filosofia, religione, politica, etica, arti e tecniche. La sera, poi Aristotele tiene anche lezioni al pubblico. Diventano famose le sue conferenze di logica, una materia fino ad ora mai insegnata dove vige il concetto che qualsiasi cosa si faccia nella vita, occorre che sia fatta con rigore e metodo giusto. Altre lezioni affascinanti vertono sull’essere, cioè che la cosa più bella della vita è scoprire che le cose esistono.

Chiudo questa carrellata di filosofi e filosofia con il dialogo che si istaura tra Aristicchio e suo padre Aristotele perché dà l’idea della profondità e dell’essenzialità della ricerca filosofica:

Aristicchio: “Padre come si fa ad essere felice?”

Aristotele: Non ho conosciuto Socrate, ma sembra che lui avesse con estrema chiarezza invitato gli uomini a vivere e fare tutto in vista della crescita della propria intelligenza. Questa, secondo quel che diceva Socrate, sarebbe la massima felicità per l’uomo. L’uomo che vive senza poter capire le cose, senza tentare di migliorare la sua vita, riducendosi a vegetale o animale non può essere felice. Per questo, caro Aristicchio, è indispensabile che qualcuno ti aiuti a trovare il metodo più adeguato per conoscere la realtà.

E ancora Aristicchio: «Quindi, papà, è sufficiente usare bene la ragione per essere felici?».

E Aristotele: Caro figliolo. La più grande virtù per un uomo (e come tale la cosa che rende più felici) è quella di usare la ragione e il cuore in modo adeguato. La virtù è una propensione a compiere atti moralmente buoni, e un atto virtuoso consiste nel giusto mezzo tra due atti viziosi cattivi: per esempio un atto generoso è la via di mezzo tra un atto di avarizia e uno di prodigalità.