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2 febbraio

L’integrazione attraverso l’arte,
un premio a don Colmegna

Il presidente della Casa della Carità Uomo dell’anno per l’Associazione Amici Italiani del Museo d'Arte di Tel Aviv: cerimonia a Palazzo Marino. Dal 3 al 12 febbraio alla Fondazione Pomodoro esposizione di opere di ospiti della Casa e della Bialik-Rogozin School di Tel Aviv

28 Gennaio 2016

Martedì 2 febbraio, alle 18.30, nella Sala Alessi di Palazzo Marino, don Virginio Colmegna, presidente della Casa della carità, verrà insignito del premio Uomo dell’anno 2016 da parte dell’Associazione Amici Italiani del Museo d’Arte di Tel Aviv (A.M.A.T.A.), attiva a Milano dal 2001 per sostenere la diffusione della pace attraverso la cultura.

Saranno presenti il sindaco di Milano Giuliano Pisapia, quello di Tel Aviv Ron Huldai e la presidente di A.M.A.T.A. Anna Sikos. Particolarmente significativa la partecipazione della vicesindaco di Tel Aviv, Mehereta Baruch-Ron, arrivata in Israele all’età di dieci anni dopo aver lasciato l’Etiopia insieme alle sue sorelle.

Il riconoscimento va in particolar modo all’operato della Casa della carità, volto all’inclusione sociale di giovani migranti anche attraverso i laboratori di arte-terapia, e per questo motivo è direttamente collegato all’inaugurazione, che avrà luogo , il 3 febbraio alle 18 presso la Fondazione Arnaldo Pomodoro (via Vigevano 9, Milano), della mostra di opere di alcuni ospiti della Casa e della Bialik-Rogozin School di Tel Aviv.

L’esposizione – curata dal gallerista e critico d’arte Jean Blanchaert, che da anni collabora con la Fondazione – si intitola “Excellence has no color” ed è una mostra molto particolare, perché protagoniste dell’esibizione non saranno le opere di artisti affermati, ma i lavori dei minori stranieri non accompagnati ospiti della Casa della carità che in questi anni hanno partecipato a “Shay”, un percorso di terapeutica artistica che si svolge presso Casa Elena insieme all’arte-terapeuta Erika L’Altrella. Il laboratorio è stato frequentato da una ventina di adolescenti tra i 16 e i 18 anni, prevalentemente di nazionalità egiziana, bengalese e kosovara. Quasi tutti, spinti dalle famiglie, hanno affrontato clandestinamente il viaggio per arrivare in Italia.

«Il laboratorio – spiega la responsabile Serena Pagani – è nato dal desiderio di far sperimentare loro uno spazio espressivo e di comunicazione, che andasse al di là delle parole e della conoscenza della lingua. Abbiamo sviluppato la possibilità di aprire, attraverso forme e colori, un luogo di transizione che potesse rappresentare una terra di mezzo tra il Paese d’origine e il nuovo mondo».

«Questi ragazzi li ho visti crescere, un misto di dolori e sorrisi, e ho visto gli operatori della Fondazione ingegnarsi per accompagnare mesi così determinanti della loro vita – aggiunge don Colmegna -. L’arte ha fatto da filo conduttore, è stata una modalità di espressione privilegiata e un mezzo per raccontare alla cittadinanza le storie e i vissuti di questi ragazzi. Le creazioni di Bishoy, Rokybul, Issa e di tutti gli altri sono diventate opere espressive capaci di restituire dignità a chi le ha realizzate e, al tempo stesso, di generare stupore e consapevolezza in chi le guarda e le legge senza alcun pietismo».

Insieme ai lavori dei ragazzi della Casa della carità ci saranno anche quelli dei bambini e dei ragazzi che a Tel Aviv frequentano la Bialik Rogozin School, un vero e proprio campus dedicato ai figli dei rifugiati e dei lavoratori immigrati arrivati negli ultimi anni in Israele da 28 Paesi diversi, che possono così accedere alla scolarizzazione attraverso programmi speciali, particolarmente attenti all’educazione artistica e musicale come strumento per favorire l’inclusione sociale.

Il catalogo è pubblicato da Skira. L’esposizione resterà aperta fino al 12 febbraio, dal mercoledì al venerdì, dalle 11 alle 13 e dalle 14 alle 19.