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Carcere

«La scrittura e la poesia
mi hanno cambiato la vita»

Intervista a Pino Carnovale, detenuto a Opera, scrittore e poeta, autore dell’antologia “Nessuna pagina rimanga bianca” e vincitore di diversi concorsi

di Silvio MENGOTTO

5 Giugno 2013

Da circa vent’anni Silvana Ceruti è l’animatrice del Laboratorio di scrittura creativa nel carcere di Opera. Quell’esperienza si è intrecciata con il progetto “Leggere libera-mente” promosso cinque anni fa da Barbara Rossi, da circa 20  anni consulente del Ministero della Giustizia. Il progetto oggi include 6 laboratori con circa 60 persone detenute e vari collaboratori. Dal 4° anno Silvana Ceruti collabora con il progetto “Leggere libera-mente” che ha ideato e lanciato il film documentario Levarsi la cispa dagli occhi.

Silvana ha sempre creduto nelle proprietà terapeutiche e relazionale della poesia: « Basta conoscere un po’ il linguaggio… Questo è il grosso problema, rinnovare il proprio sguardo. Significa imparare a guardare la realtà in un modo nuovo: stupendosi, osservandola, amandola. Questo è fondamentale!». Dentro le mura del carcere ci sono persone e grandissime risorse umane. «Un vero spreco per loro, che non tirano fuori le loro potenzialità, e per la società, che ha già patito un danno – continua Silvana – . Nei nostri laboratori abbiamo scoperto la bellezza e la potenza che c’è nella persona umana. Ci sono azioni riprovevoli, di rottura, ma ci sono anche possibilità di bene e di bellezza in tutti».

Giuseppe (Pino) Carnovale ha frequentato per 15 anni il Laboratorio, scoprendo il talento nascosto della poesia. Ha pubblicato l’antologia Nessuna pagina rimanga bianca. Ha vinto diversi concorsi di poesia tra cui, recentemente, il 1° premio nella XXIII Rassegna di Prosa e Poesia Marina Incerti presso l’Istituto di Istruzione Superiore “Pier Paolo Pasolini” a Milano. Insieme ad altre antologie il libro di Giuseppe Carnovale verrà presentato al Festival della letteratura “Leggere libera-mente” il 5 giugno a Milano. L’abbiamo intervistato nel carcere di Opera.

Come ha scoperto la strada per diventare poeta?
Poeta è una parola grossa, preferisco definirmi appassionato di poesia. Prima di frequentare il Laboratorio non avevo mai scritto nulla e non pensavo di scrivere. Ho iniziato per caso. Un altro partecipante – che stava per terminare il suo periodo di detenzione e tornare in libertà – mi invitava a partecipare, ma io rifiutavo sempre, perché mi sentivo inadeguato. Allora, a mia insaputa, compilò con il mio nome la domanda di iscrizione. Un sabato mi chiamarono in Laboratorio, dove mi aspettavano Silvana Ceruti e altre sei persone. Dissi che non sapevo nulla della convocazione. Silvana mi rispose: «Se ti piace rimani…». Rimasi e da quel giorno, per 15 anni, ho sempre seguito i corsi di scrittura e lettura.

Nelle sue poesie c’è voglia di aprire un dialogo, un desiderio, una sete di relazione con se stesso e con chi è fuori dal carcere?
Io credo che in questo ultimo libro sia concentrata la mia vita. La sera che me lo hanno consegnato l’ho letto due volte per tutta la notte. Mi sembrava impossibile averlo scritto io. Mi riconosco in ciò che dico. Senza retorica, la scrittura e la poesia mi hanno cambiato veramente l’esistenza. Per cumulo di pene e reati ho scontato 26 anni di carcere, mi mancano quattro anni per terminare la detenzione. Sono sicuro che quando uscirò non potrò fare a meno di scrivere. Quando mi sveglio alle quattro del mattino il primo pensiero è quello di scrivere. Bevo un caffè e, sdraiato sul letto, inizio a scrivere tutto quello che mi viene in mente: non finisco mai. Dopo aver partecipato a vari eventi all’esterno, come la presentazione dell’antologia di poesie e la proiezione del film Levarsi la cispa dagli occhi, al ritorno inizio subito a scrivere le mie sensazioni. A farti riflettere sono le persone, devo molto a Silvana Ceruti, a Margherita Lazzati, a Barbara Rossi, ai volontari… Io non mi ero mai chiesto niente. A un certo punto mi sono domandato: «Cosa hai fatto della tua vita?» Ho avuto tutto, ma ho anche buttato via tutto! Oggi voglio fare qualcosa che rimanga…

Nessuna pagina rimanga bianca: perché questo titolo?
Io vedevo sempre la mia vita vuota, rimanevano solo i disastri del mio passato. Ho dato questo titolo perché sul bianco delle pagine rimanesse qualcosa di mio, di personale, di utile e importante, un segno della mia vita, non di cose evanescenti, superflue, che non servono a niente. Te ne accorgi con gli anni. Da ragazzo avevo adrenalina in corpo, per me la vita era spericolata. Non è il carcere che mi ha cambiato, ma l’incontro con persone come Silvana, la mia maestrina, che mi ha dato tanto. Questa antologia di poesie la devo a lei.