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La Pastorale per lo Sport

16 Dicembre 2003

Vi è un terzo livello, quello “del ricupero” di devianze, alienazioni o comunque di estraneità indotte o volute rispetto ai valori umani e cristiani. Oggi si vuol investire qui più risorse pastorali. Sarà anche un bene. Ma forse c’è ancora tutto il secondo livello da curare; in questo senso merita un posto privilegiato anche la pastorale per lo Sport. Riferito in particolare al momento giovanile, si possono configurare tre livelli di pastorale, o di proposta evangelica. Il più alto è l’ambito formativo ecclesiale, che aiuta la consapevolezza della fede battesimale e la matura fino ad una fede testimoniante e missionaria. E’ l’ambito diretto della pastorale giovanile parrocchiale supportata dall’Azione Cattolica.

Ma vi è una realtà extraecclesiale – sempre più vasta – che matura e vive valori umani positivi autonomi (che sono già parte del Vangelo!), che abbisognano di purificazione di eventuali limiti e di essere poi aperti alla trascendenza e quindi al disegno di Dio. E’ questa una pastorale “di approccio” che oggi richiede più fiducia e risorse, anche se non immediatamente gratificante come la prima. E’ l’ambito della mediazione culturale come seminagione. In questo settore si può collocare la pastorale rivolta allo sport.

Ci domandiamo: perché interessarsi del mondo dello sport, soprattutto giovanile? In particolare se lo chiedono i preti, e magari proprio il tuo dell’oratorio: perché io prete lo deve fare? Si è sempre più in pochi. E non è supplenza? Non è un mondo autonomo? I ragazzi vengono per giocare e basta, poi se ne vanno!

Una prima risposta sta nel cogliere il significato stesso dello sport. Lo sport è proprio una di quelle esperienze giovanili generali dove si raccolgono tutti i ragazzi, i giovani “comuni”; è una realtà secolare, una di quelle il cui richiamo sentono tante persone non ancora sensibili al tema religioso; è un tema all’interno del quale è possibile far sorgere domande di senso e intessere rapporti.

Una seconda risposta è vista dalla parte dell’educatore. Perché nello sport e con lo sport incontra un gran numero di giovani e loro famiglie; nello sport accompagna i giovani in un’esperienza umana, ricca di valori individuali e sociali; perché attraverso questa esperienza e altre simili si possono mettere in rapporto la vita con la fede, rendendo quest’ultima significativa, saldandola con momenti e preoccupazioni quotidiane; perché in questo mondo dello sport si può raggiungere col messaggio di fede anche coloro che in principio non lo chiedevano; e perché inoltre si offre all’educatore ( e allo stesso prete) la possibilità di formare gruppi, creare ambienti, partecipare nel territorio, essere presenti nell’elaborazione di un aspetto della cultura. Per tutto questo l’educatore attento, e con lui ogni Consiglio Pastorale Parrocchiale, non abbandonerà facilmente l’area sportiva!

Naturalmente ad alcune condizioni. Non è il fatto materiale, inerte e grezzo dello sport consumato passivamente a produrre la desiderata crescita del ragazzo, ma la qualità dell’incontro che il giovane fa con lo sport, mediato dall’educatore. Procedere con criterio educativo è mettere la persona al di sopra dell’organizzazione, al di sopra dello spettacolo e al di sopra dei trofei. Lo sport non interessa soltanto come esercizio motorio e diversivo, ma come possibilità di fare con le persone un dialogo su tutti i valori che le interpellano. L’agonismo è importante, ma non è il valore supremo, né l’unico. Cercare la crescita integrale richiede di percorrere certi itinerari educativi, attraverso i quali da ciò che immediatamente si coglie nello sport stesso, si va oltre e si abilita il giovane a vivere da uomo quegli atteggiamenti che lo accompagneranno anche fuori del momento sportivo. Procedere con criterio educativo vuol dire, infine, applicare un metodo basato sulla presenza e il rapporto personale.

E’ opera urgente, anche perché lo Sport è divenuta un “religione” per tante masse, quasi un assoluto, e per di più sganciato da ogni criterio morale, e inficiato dal solo profitto. C’è bisogno di disincanto e senso critico; è salutare l’opera dei credenti per liberare una attività tanto “umana” e capace di tanti frutti positivi.