«In città diventa sempre più difficile trovare appartamenti in affitto: non penso ai miei figli che sono ancora piccoli, ma per esempio ai tanti giovani che vorrebbero sposarsi e magari rimandano il loro matrimonio o alle famiglie che fanno fatica ad arrivare a fine mese. Mi chiedo se insieme, soprattutto le amministrazioni locali e i singoli cittadini, stiamo facendo qualcosa. Quando giro a piedi in certi quartieri mi accorgo che ci sono tanti palazzi con le finestre chiuse da anni. Vuol dire che non sono abitati. Ma chi sono i proprietari? Dove sono? Se non hanno bisogno nell’immediato di quegli appartamenti, perché non li affittano almeno per qualche anno – magari senza speculare troppo – in attesa di una destinazione diversa? Ci sarà un modo perché chi ha bisogno trovi ancora una casa e per i proprietari, la garanzia di poterla riavere senza aspettare anni o ricorrere agli avvocati! Forse esagero e visto che io una casa ce l’ho non dovrei preoccuparmene. Però sono molte le persone di tutte le età ad avere questo problema. Due mesi fa ho incontrato una donna anziana del mio quartiere: era preoccupata, ha saputo che entro l’anno le arriverà lo sfratto perché l’immobile deve essere ristrutturato, non sa dove andare, e anche se i figli si sono offerti di ospitarla temporaneamente, non vuole rinunciare ad avere la sua casa. Pensando anche a situazioni come queste possiamo davvero dire di aver fatto tutto il possibile? Penso anche alle parrocchie, dove i preti diminuiscono e mi chiedo come vengono utilizzati gli appartamenti un tempo destinati a loro. So che a Milano ci sono anche parrocchie proprietarie di immobili. Come li utilizzano? A chi affittano? Pensano anche a qualche famiglia bisognosa, magari a parrocchiani che hanno difficoltà? Forse mi sbaglio o esagero, ma bisogna pur trovare soluzioni per chi abita a Milano».
M.G. – Milano
Questa lettera conferma che l’emergenza casa interroga le coscienze. Alcune parrocchie milanesi cercano generosamente di rispondere a questi bisogni: ne diamo conto. Un esempio di come la Chiesa si impegna e che altre comunità sul territorio possono imitare. Insieme alla disponibiltà di chi, singolo cittadino, dispone di appartamenti magari tenuti chiusi. Perché non affidarli a realtà che garantiscono un uso sociale, preservando il bene e pagando un affitto “equo”? Ma tutto ciò non basta. Lo ricorda don Lattuada: la casa è un bene comune che non può essere regolato solo dal mercato. Ci vuole la politica. Ma le amministrazioni come stanno rispondendo al grido di bisogno dei cittadini che fanno fatica? Qualcuno nei Palazzi si ricorda che la politica deve costruire «la città dell’uomo a misura d’uomo»? Servono risposte. Concrete.