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Il vigile ucciso

Il dramma e lo spirito civico dei milanesi

La preghiera e il cordoglio del cardinale Scola. La riflessione del sociologo Maurizio Ambrosini

di Pino NARDI

23 Gennaio 2012

Un fatto tragico, che ha emozionato l’intera metropoli. Il barbaro omicidio del vigile Nicolò Savarino da parte di un paio di criminali slavi in fuga su un Suv ripropone il tema della sicurezza a Milano. Eppure le reazioni e le riflessioni anche sulla presenza degli stranieri in città assumono un tono e una profondità diversi rispetto a un passato anche recente. Lo sottolinea Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia delle migrazioni all’Università degli studi di Milano e direttore della rivista Mondi migranti.

La vicenda del vigile ucciso dai due "nomadi" è stato un caso tragico isolato oppure è il segnale di una città poco sicura?
Bisogna sempre inquadrare i casi particolari dentro tendenze generali per poter fare ragionamenti: la criminalità tende a diminuire da vari anni, in particolare fenomeni gravi come gli omicidi, le rapine in banca, i rapimenti per fortuna sono calati. Milano non fa eccezione. Inoltre anche la criminalità degli immigrati è diminuita in proporzione al numero dei residenti, la residua criminalità è prevalentemente legata all’immigrazione irregolare, in particolare per alcuni tipi di reati connessi all’essere irregolare. Per esempio, resistenza a pubblico ufficiale, uso di documenti falsi, contraffazione; poi quelli che hanno a che fare con le loro condizioni di marginalità. Se poi consideriamo gruppi sociali omogenei alla fine l’immigrato regolare è poco più invischiato in attività o problemi di devianza rispetto agli italiani.

Quindi promuovere l’integrazione diventa fattore di sicurezza?
Esatto, più si possono inserire regolarmente nella società, lavorare e abitare legalmente, meno saranno coinvolti in reti e comportamenti devianti. Infatti più regolarità vuol dire più integrazione e meno criminalità. Questo è il quadro generale. Poi ci sono alcune sacche di problematicità che sono legate a situazioni, condizioni particolari, gruppi e circuiti. Ci sono reti viziose, così come reti sociali che conducono a comportamenti socialmente positivi, altre che aiutano a trovare lavoro agli immigrati e quelle invece che coinvolgono in attività illegali come lo spaccio o i piccoli furti. O comportamenti e aree borderline come la prostituzione e la mendicità.

Espressioni criminali come i due cosiddetti nomadi coinvolti in questo tragico fatto di sangue…
Più che nomadi, i due sono slavi. Probabilmente ci sono alcuni circuiti di criminalità slava che si sono infiltrati in Italia. In genere gli stranieri, soprattutto nella criminalità organizzata, agiscono in alleanze e cooperazioni con la criminalità italiana. Fanno il lavoro sporco o vengono utilizzati per le attività più rischiose, l’esempio tipico è lo spaccio. Lo spacciatore di strada o dei parchi è sempre più straniero, probabilmente anche il suo fornitore oggi è un connazionale, ma la regia del traffico è in mani italiane. Per non parlare poi dei colletti bianchi che connettono attività illegali con circuiti finanziari puliti, che si occupano di riciclaggio e investimenti.

La presenza delle mafie nel territorio milanese e lombardo è sempre più penetrante…
Sì, coinvolge prima di tutto la criminalità organizzata italiana, poi anche le infiltrazioni straniere, la cui presenza non va però enfatizzata. In genere sono criminali molto meno organizzati come questo episodio del vigile ucciso in realtà mostra, perché criminali "seri" non si sarebbero messi in una situazione del genere. Denota una bassa professionalità criminale, così come quello di Roma ai danni dei cinesi. Spesso i più pericolosi o quelli che mettono la popolazione in condizione di pericolo sono criminali di mezza tacca, non particolarmente preparati e sofisticati.

Il fatto che i criminali siano stranieri e che questa volta non abbia creato un forte “scandalo” rispetto al passato è il segnale che qualcosa sta cambiando anche nella percezione della presenza dell’immigrato?
Sì, mi sembra che sia cambiato il clima politico-culturale, che gli isterismi, la caccia al capro espiatorio cui abbiamo tante volte assistito negli scorsi anni si stia attenuando. Rimane però sempre sotto traccia, perché potremmo ricordare i due episodi di dicembre invece, cioè il rogo dell’insediamento rom a Torino e la caccia ai senegalesi a Firenze. Quindi la bestia è ancora ben viva, anche se dormiente e ogni tanto si sveglia.

In questo caso Milano va in controtendenza…
Sì, ma in generale direi. Anche sui giornali si parla meno di immigrazione e questo è un bene, perché vuol dire che ci si sta normalizzando, sta crescendo silenziosamente – come deve essere – la percezione che gli immigrati siano una parte normale della nostra società, che ci siano tra di loro come tra gli italiani i buoni e i cattivi, quelli di mezzo, quelli che lavorano, quelli che vorrebbero lavorare ma non lo trovano, quelli che sono poveri, quelli che delinquono. La visione dell’immigrazione sta diventando meno ansiogena e più capace di metabolizzare questo nuovo fenomeno come una componente normale ormai acquisita della nostra vita sociale.

Infatti la stessa comunità cinese milanese chiede sicurezza. È un altro volto dell’integrazione dell’immigrato…
Vero, anche gli immigrati chiedono sicurezza. Le prime vittime della criminalità di immigrati sono in genere altri immigrati. I più esposti sono connazionali e altri soggetti deboli che vivono in quartieri e condizioni marginali. Quindi è ben comprensibile. C’è però un altro risvolto meno positivo. Potremmo dire che i primi nemici degli ultimi sono i penultimi: cioè che gli immigrati che faticosamente sono riusciti a emergere, a regolarizzarsi, a insediarsi, che hanno trovato lavoro, una casa che magari stanno pagando col mutuo, si sentono minacciati dai nuovi arrivati, dagli irregolari e da gente che arriva più affamata di loro, disposta a lavorare a minor costo e competitiva sul mercato abitativo e nella domanda di aiuto alle istituzioni e al volontariato. È frequente che questo ceto ormai cospicuo di immigrati insediati chieda più chiusura e politiche più dure verso i nuovi arrivati.

Nei giorni scorsi il sindaco Pisapia sottolineava che nel caso del vigile ucciso c’è stata una partecipazione popolare di testimoni per spiegare le dinamiche della vicenda. È anche questo il segnale della fine di una sorta di omertà, della chiusura individualista? Che ne pensa?
Prima di tutto i ghisa a Milano sono figure popolari, quindi la solidarietà verso la guardia civica è connaturata nella cultura sociale. Secondo, il fatto che i trasgressori fossero stranieri facilita la coesione contro gli “invasori”. Certo però possiamo anche dire che il sindaco ha ragione. Forse culturalmente Milano sta cercando di voltare pagina, di passare a uno stile diverso di vita, di socialità, di rapporto con la città. Un recupero di spirito civico e di un diverso rapporto con la collettività. Speriamo che tenga questo sentimento, perché la crisi generalmente non aiuta lo spirito civico.