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Ricordo

Il coraggio di credere e di sperare

Il cardinal Martini ha invitato con forza alla necessità di una dialettica interiore tra il credente e il non credente che è in noi...

31 Agosto 2012

Uno degli aspetti più significativi e costitutivi dell’insegnamento pastorale del cardinal Martini è quello del “coraggio”. Non tanto o unicamente nel senso di un coraggio tradizionalmente inteso, ma soprattutto come capacità interiore di porsi, in modo radicale, domande fondamentali sul proprio essere e sul rapporto con la trascendenza.
Già il motto episcopale scelto per il proprio stemma Pro veritate adversa diligere… ha di fatto posto l’accento sul coraggio di affrontare, anziché aggirare o eludere, le avversità; anzi di accettarle con un atteggiamento così positivo da essere addirittura affettivo, una modalità esperienziale amata e privilegiata in quanto strada maestra verso la Verità.
Molte delle opere e delle parole del Cardinale potrebbero essere interpretate come una provocazione, ma se lette nel contesto di un lungo e intenso cammino episcopale, e prima ancora di un lungo e rigoroso esercizio – come lui stesso ci ha insegnato – di “discernimento”, ci appaiono quanto mai fondamentali e importanti per un serio cammino, non solo di fede ma anche e soprattutto di pienezza umana.
Un’iniziativa, tra le molte, a suonare come sfida e come proposta paradossale è stata proprio la Cattedra dei non credenti, nella quale il Cardinale ha investito molto dedicandovi passione e fatica, affrontandola in prima persona con un coinvolgimento diretto e sostanziale, anche a fronte di difficoltà organizzative, di dubbi e perplessità e – forse – di qualche “avversità”. Frequentemente il Cardinale ha richiamato con forza alla necessità di una dialettica innanzitutto interiore, cioè tra il credente e il non credente che è in noi, prima che in un rapporto interpersonale.
Ripensandoci, c’è un’analogia molto stretta tra la Scuola della Parola, iniziativa degli albori dell’episcopato di Martini, e la Cattedra dei non credenti, iniziativa propria della pienezza espressiva del suo episcopato. Entrambe rispondono a una stessa intenzione di fondo caratterizzante il magistero del Cardinale, quella di sollecitare a essere innanzitutto pensanti. Da una parte, la Scuola della Parola offre infatti la sollecitazione a problematizzare la propria fede, dandole un fondamento attraverso l’ascolto orante e pensante della Scrittura; dall’altra la Cattedra dei non credenti porta con sé la sfida a problematizzare la propria incredulità, dandole diritto di parola. In entrambi i casi si è posti di fronte a una posizione di coraggio, sia che si tratti di verificare la propria fede, confrontandola e continuamente rifondandola con la Scrittura, sia che si tratti di affrontare senza paura l’oscurità del dubbio. (G.B.)