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Convegno annuale 2011

Giovani e futuro, riflettere per pensare al nuovo nella luce della tradizione

Questa la tematica al centro dell’annuale convegno dei Centri culturali cattolici della Diocesi di Milano

1 Giugno 2011

Da almeno vent’anni i giovani stanno cercando di riprendersi il futuro. Succede in tutto il mondo e succede, in particolare, in una città-laboratorio come Milano, per la quale il traguardo di Expo 2015 dovrebbe tradursi, prima o poi, in condivisione e discussione di questioni cruciali. Tra questi, la qualità “giovane” del futuro è forse la più importante, ma forse anche la più disattesa.
Nipoti di combattenti e figli di rivoluzionari (spesso, ahimè, mancati), i ragazzi che dai primi anni Novanta si susseguono sulla scena sociale sembrano costituire una variazione sempre più elaborata di quella che, con una felice intuizione, lo scrittore canadese Douglas Coupland ha definito «generazione X»: X come incertezza, ma anche come fungibilità, in un adattamento ineluttabile e costante alle regole sempre provvisorie del precariato occupazionale. Di nuovo, quindi, X come incognita o addirittura rassegnazione. Eppure, questi giovani appartengono contemporaneamente a un’altra generazione, la stessa che abbiamo visto tornare a radunarsi in piazza San Pietro non più tardi di una settimana fa in occasione della beatificazione di Giovanni Paolo II. Un Papa che, come oggi Benedetto XVI, non si è mai stancato di invocare la consegna dei destini del mondo alle «sentinelle del mattino», convocate il prossimo agosto alla Giornata mondiale della gioventù di Madrid.
I ragazzi non cambiano, verrebbe da dire, cambia lo sguardo che si posa su di loro: distaccato e razionale (non per niente quella X è anzitutto un simbolo matematico) oppure riconoscente e appassionato, perché ogni giovane, come il Samuele della Scrittura, chiede anzitutto di essere chiamato per nome, di essere riconosciuto nella sua magnifica e talvolta contraddittoria unicità. Detto altrimenti, è venuto il momento di pensare i giovani non soltanto nella prospettiva – pure irrinunciabile – dell’analisi sociologica e dell’ammortamento economico, ma anche nella dimensione, altrimenti trascurata, della riflessione culturale. Un compito tanto più urgente in un momento come questo, nel quale l’area delle conoscenze comuni pare restringersi sempre di più a beneficio di specialismi anche vertiginosi, orientati prevalentemente nella direzione delle competenze tecnologiche. Come se la cultura del futuro, o il futuro della cultura, fosse riducibile a una questione di piattaforme e codici sorgente e non andasse ricondotto, al contrario, al pensiero del nuovo nella luce della tradizione (da questo punto di vista, riconoscere gli elementi umanistici del sapere tecnologico non significa postulare che la tecnologia possa riassumere in sé, e di per sé, ogni caratteristica dell’umanesimo).
Ecco perché in questo 2011 l’annuale convegno dei Centri culturali cattolici della Diocesi di Milano ha come tema il binomio, solo in apparenza tautologico, «Giovani – Il futuro». Si tratta, ripetiamolo, di un confronto decisivo, nel quale si gioca buona parte delle aspettative di cui i giovani sono portatori per sé stessi e per l’intera comunità civile ed ecclesiale. Sabato 14 maggio ne discuteranno relatori qualificati come monsignor Giovanni Balconi, che dei Centri culturali della Diocesi è il coordinatore, e il direttore di Tracce Davide Perillo, il professor Cesare Ignazio Grampa e il Vicario episcopale della Cultura, monsignor Franco Giulio Brambilla. Voci autorevoli che si intrecceranno con le testimonianze di Miriam Ambrosini, vicepresidente dell’Azione cattolica ambrosiana, e di Paolo Masciocchi, presidente dell’Asri, senza dimenticare l’apporto istituzionale del sindaco Letizia Moratti, madrina dell’incontro, e di Antonio Colombo, direttore generale di Assolombarda, l’ente che ospiterà l’evento nel suo Auditorium. In programma anche un intermezzo musicale del Trio Broz, con opere giovanili di Schubert, Beethoven e Sibelius. Della bellezza, infatti, nessuna generazione ha mai saputo fare a meno. E forse proprio di bellezza c’è bisogno per riconsegnare finalmente ai giovani il futuro che già appartiene loro di diritto.