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22 e 23 ottobre

Fidei donum,
due giorni a Seveso e incontro con Scola

Esperienza di convivenza e preghiera presso il Centro Pastorale Ambrosiano: martedì sera l’appuntamento con l’Arcivescovo. La testimonianza di don Francesco Airoldi, dal 2007 in Zambia

di Luisa BOVE

20 Ottobre 2013

In occasione dei 50 anni di missione ad gentes, la Diocesi di Milano ha convocato tutti i suoi fidei donum (preti e laici) sparsi nel mondo, in 19 diocesi e 12 Paesi, per due giorni di convivenza e preghiera presso il Centro Pastorale Ambrosiano di Seveso.

L’appuntamento è per il 22 e 23 ottobre, a pochi giorni dalla Giornata missionaria, che vedrà tutti i fidei donum coinvolti nell’animazione delle Messe e invitati a incontri comunitari come testimoni. Nel corso della due-giorni è previsto anche un incontro con l’Arcivescovo, il cardinale Angelo Scola, che avrà luogo martedì 22 alle 21.

Prete «immigrato», in cammino coi laici

I fidei donum ambrosiani hanno molto da raccontare dell’esperienza di evangelizzazione nelle Chiese sorelle dove si sperimenta la gioia del Vangelo e dell’annuncio. Come don Francesco Airoldi, partito nel 2007 per lo Zambia con una convinzione nel cuore: «Io mi sento prete per il mondo, non solo per la Diocesi di Milano».

Come è stato il suo primo impatto?
Di sorpresa per un mondo e una realtà ecclesiale con dinamiche molto diverse, anche se i fondamenti e la vita cristiana sono i medesimi. L’esperienza è stata quella di uno straniero, di un immigrato che arriva in un altro Paese. E questo è molto interessante perché, come gli immigrati in Italia, mi sono messo in movimento per i permessi e tutto il resto. Comunque è un mondo bello e affascinante.

Qual era la sua destinazione?
Una nuova parrocchia che la Diocesi di Milano stava prendendo in carico nella periferia di Lusaka (Kanyama Compound) in Zambia. Quando sono arrivato, il quartiere iniziava a “materializzarsi” perché non esisteva ancora e la parrocchia sorgeva in un’area in cui la gente cominciava allora a insediarsi. Il mio lavoro è stato quello di dare vita alla parrocchia, di costruire la comunità cristiana in tutti i sensi: spirituale e materiale. È stato un lavoro impegnativo anche quello di dare loro una casa fisica. Sono stato il primo parroco di St. Maurice.

Oggi, a distanza di 6 anni, quali riflessioni sull’esperienza vissuta?
Guardo a questa esperienza con grande gratitudine perché vedo che qualcosa si sta delineando in modo positivo e inaspettato: non è solo una mia impressione, il rimando me lo dà la gente. La comunità cristiana sta prendendo forma in maniera bella, significativa, con le caratteristiche della Chiesa locale e con la mia guida. Ne sono contento.

Come prete che cosa le ha insegnato questa giovane comunità?
Che la Chiesa non può essere clericocentrica, ma è fatta di tante persone e i laici hanno le loro responsabilità. Ho iniziato questo cammino da solo, ma un progetto così grande e difficile non si è realizzato grazie a me, che sono il pastore: c’è una comunità intera che ha lavorato. Lo spazio che la Chiesa in missione lascia ai laici è molto più grande di quello che abbiamo a Milano. La gente a Lusaka si sente corresponsabile e ha la possibilità di decidere in tutti gli ambiti: liturgico, catechetico, formativo… Io sono la guida, ma cammino con loro. L’apertura e la reale responsabilità dei laici sono gli aspetti più belli che sto sperimentando.