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Memoria

Don Peppino Arosio, che ora costruisce in cielo
la “sua” nuova chiesa numero 60

Un ricordo dell'amato sacerdote monzese, scomparso lo scorso 20 maggio, che con acume e coraggio guidò l'Ufficio Nuove Chiese della Diocesi di Milano durante l'episcopato del cardinal Martini.

di Carlo CAPPONI Responsabile Ufficio Beni Culturali Arcidiocesi di Milano

25 Maggio 2015

Mons Giuseppe Arosio, per tutti don Peppino, era un sacerdote che amava la sua Chiesa. La Chiesa che lo aveva accolto nel sacerdozio e la chiesa fatta dalla Comunità dei credenti raccolti attorno alla Mensa dell’Eucarestia.

Questo era il segreto per cui gli edifici di culto, per cui svolse il proprio servizio diocesano, erano seguiti e amati, non come un dovere di ufficio, seppure di Curia, ma come una sincera e profonda affezione alle persone che gli chiedevano una chiesa in cui celebrare la Messa domenicale.

A partire dalla sua, e questo non lo ha mai negato, chiesa di san Giuseppe a Monza. Parroco in un territorio ricavato da altre realtà amministrative, iniziò a ricerca con la sua nascente Comunità parrocchiale esempi di edifici che si confacessero alla loro specifica situazione di Chiesa che accoglie, e si ritrova, nel luogo dello spezzare il pane e dell’ascolto della Sua Parola. Raccontava dei tanti viaggi fatti in Italia e all’estero dopo mesi di studio su riviste specializzate d’oltralpe. Dell’incontro con un architetto non cattolico, condizione che lo pose contro gli Uffici di Curia che poi, nemesi della vita, si sarebbe trovato a presiedere. Della costruzione di un luogo accogliente per tutti, la grande piazza sagrato, che poi, dopo un concreto quanto ideale cammino di portava allo spazio della celebrazione della Liturgia.

Chiamato in Curia dal Cardinale Martini subito si prodigò per la formazione dei progettisti chiamati a costruire ed ornare le nuove chiese. Il Suo Ufficio non si ridusse ad elemosinare contributi dalle Parrocchie più agiate o dagli Enti territoriali ma, innanzitutto a creare la mentalità della formazione continua nella condivisione della carità.

L’annuale giornata diocesana “Nuove chiese” divenne lo spunto per convegni, seminari di studio per riunire artisti e tecnici. Sull’onda delle parole rivolte da Paolo VI nel messaggio conclusivo del Concilio, non si accontentò solo di “riaprire” le porte delle chiese ma ne stimolava l’attenzione ricercandoli laddove era l’officina del farsi dell’arte.

Tante sue frequentazioni e amicizie con celebri architetti, primo tra tutti Aldo Rossi, certo non inserito funzionalmente nelle organizzazioni ecclesiastiche, portarono mormorii tra confratelli e benpensanti che spesso riempiono le sacrestie più dei primi. Capì che la bellezza dell’Annuncio doveva essere segno vivo tangibile e non solo tema della predicazione. Si staccò da consolidati circoli storicizzati andando a cercare chi perseguiva ricerche e compì lo sforzo di mettersi in ascolto, per poter aprire un dialogo.

La formazione liturgica era data da Lui e i Suoi Consulenti a chi già operava nella ricerca dell’architettura e dell’arte in modo libero e profondo. L’apertura ai concorsi ad invito, in cui chiamare esponenti di alto profilo con un occhio anche all’estero. La scelta non di “Scuole cattoliche”, primariamente, ma di Atenei per la formazione seria di professionisti.

Nella sua vita di Curia seguì la costruzione di 59 chiese portando a compimento i piani organizzativi già pensati dal suo predecessore l’architetto mons Corbella. “Piano 22 chiese per 22 Concili”, “Piano Cardinale Montini”.

L’impegno alla formazione lo fece organizzare viaggi di studio sia in Italia che all’estero. Ancora resta scolpito nella memoria il viaggio a Colonia in occasione della riapertura delle cento chiese romaniche nel 1985, così come un tour della Svizzera con tappe al santuario mariano eretto da Le Corbusier, alle chiese di Zumthor e alle benedettine abbazie barocche in cui gustare la sapienza della celebrazione. A tanti restano in mente lo schiarirsi la voce con seguente uscita di neologismi tedeschi di sua invenzione che segnavano la presa in carico di una domanda, di una richiesta a cui sempre seguiva una parola di indirizzo e di aiuto nella via della ricerca.

Un uomo spiritoso sempre nell’equilibrio. In un ritiro di Curia fatto al Santuario del Carmelo di Montevecchia, al cardinale Martini una folata fece volare lo zucchetto che fu afferrato letteralmente al volo da don Peppino che se lo pose in capo. Il Cardinale, da lontano, gli disse che gli stava proprio bene e che era un peccato non lo avesse. Il gesto e le parole fecero sorridere tutti i presenti, creando quel clima di condivisione fraterna nel desiderio di partecipare ad una giornata di preghiera.

Il Vescovo di Novara, Franco Giulio Brambilla, che ha celebrato le esequie in un Duomo di Monza pieno come se fosse la Messa di Natale, lo ha ricordato giovane parroco e lui, ancor più giovane sacerdote mandato ad aiutare la pastorale domenicale, assicurando tutti che certo era in Paradiso già alla ricerca di qualche cosa da organizzare e la chiesa numero 60 che mancava alla serie.