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Intervista

Don Epis: «La fede chiama i credenti a contribuire alla costruzione della città degli uomini»

Il neopreside della Facoltà teologica illustra il tema della Giornata di studio 2017, «Essere cittadini. Qualità spirituale e qualità civile» (12 gennaio): «Da sempre per i cristiani la politica è luogo di testimonianza»

di Annamaria BRACCINI

8 Gennaio 2017

«Essere cittadini. Qualità spirituale e qualità civile» è l’interessante, e attualissimo, tema della Giornata di studio 2017, promossa giovedì 12 gennaio dal Centro studi di spiritualità della Facoltà teologica dell’Italia settentrionale. A spiegare la scelta della tematica, su cui si confronteranno voci autorevoli e qualificate, è don Massimo Epis, dall’ottobre scorso preside dell’Ateneo: «Partirei da quello che il cardinale Scola costantemente ci ricorda: quando consentiamo alla fede di dispiegare la sua vitalità, essa sempre genera cultura, cioè plasma stili di vita, scelte morali e forme di convivenza che, in fedeltà al proprio tempo, rendono concretamente visibile l’efficacia del Vangelo».

L’azione politica è uno dei luoghi di questa realizzazione?
Certamente. Prima che una professione, la politica è una condizione imprescindibile per costruire e custodire la nostra umanità, non soltanto per tutelarla da ciò e da chi la minaccia. Ritengo infatti che anche il tema della sicurezza debba essere affrontato nel quadro di una responsabilità più grande: la realizzazione di un patto di cittadinanza. In gioco, infatti, non c’è solo la somma degli interessi privati, perché alla radice di ciò di cui ciascuno ha bisogno c’è l’altro come altro. Questa è la qualità originariamente spirituale della forma civile dell’esistenza, poiché solamente in un patto di cittadinanza l’insieme dei doveri e dei servizi concorre a rendere le diversità una risorsa.

La politica «forma più alta della carità» è anche un valore teologico?
Al cuore del Vangelo c’è una grazia che genera legami nuovi, all’insegna di una fratellanza che non è semplice clausola convenzionale per disinnescare l’intolleranza. La fratellanza risale a una dignità che non è a disposizione dei poteri dominanti, perché è una dote relativa alla paternità universale di Dio. Il Vangelo non propone «istruzioni per l’uso», non risparmia la fatica e i rischi delle mediazioni. La fede non autorizza l’indifferenza politica, né una militanza faccendiera, piuttosto esige una presenza fattiva dei credenti nella costruzione della città degli uomini, con uno stile che, rispetto alla logica della prevaricazione, appare disarmato, ma che si presenta ricco di un’idealità della quale la progettazione politica ha bisogno.

Come definirebbe il ruolo della teologia, oggi?
La teologia vive della fede della Chiesa. All’interno della missione evangelizzatrice della comunità cristiana e del comandamento della carità che la promuove, il sapere teologico ha il compito di mostrare la diretta attinenza della questione di Dio a una verità degna dell’uomo e di esplicitare le condizioni di universalità della fede resa possibile da Gesù. Nello svolgimento di questa carità intellettuale, la teologia si pone a servizio dell’umanità della Grazia.

Nel volantino compare il brano forse più noto della Lettera a Diogneto e l’immagine della famosa “Città ideale” del Rinascimento. Perché questa scelta?
Già nel II secolo la Lettera a Diogneto aveva intuito che quella dei cristiani era una cittadinanza paradossale. Essi, infatti, partecipavano a tutto come cittadini e da tutto erano distaccati come stranieri. Quei cristiani, tuttavia, erano consapevoli che il distacco che caratterizzava la loro condotta all’interno della città – la polis, da cui deriva il termine politica – non equivaleva a indifferenza nei confronti della vita civile, ma diventava il luogo della testimonianza, attraverso una condotta che non poteva non interrogare chi li incontrava. È possibile, oggi, tornare a riflettere, in modo non pregiudiziale, su questi temi e mettere di nuovo in luce le intrinseche connessioni tra momento civico e spirituale dell’esistenza? Crediamo di sì ed è ciò su cui vogliamo riflettere nel convegno.

Chi è

Don Massimo Epis, nato a Bergamo nel 1964, è sacerdote della Diocesi di Bergamo dal 1988. Ha conseguito i gradi accademici presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, ottenendo la licenza nel 1989 e la laurea in Teologia nel 1995. Nel 2001 ha conseguito anche la laurea in Filosofia presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 1989 presso la Scuola di Teologia di Bergamo, è stato docente dei corsi di Introduzione al Mistero di Cristo e Teologia fondamentale, come pure di Storia della teologia contemporanea e di Sintesi teologica. Dall’anno accademico 2001-2002 ha iniziato a collaborare con la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale di Milano, attraverso alcuni corsi del ciclo di specializzazione. Presso la stessa sede, dal 2005 tiene il corso di Teodicea, dal 2015 denominato di Teologia filosofica. Dal 2011 è direttore degli Studi della Scuola di Teologia del Seminario di Bergamo, dal 2013 direttore del Ciclo di specializzazione della Ftis di Milano e dal 2014 professore ordinario nello stesso Ateneo.

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