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Varese

«Cristo, la roccia su cui costruire l’esistenza della Chiesa»

Nella visita nella II Zona pastorale il cardinale Scola ha sottolineato il valore della testimonianza

di Annamaria BRACCINI

14 Ottobre 2011

Un abbraccio forte corale, che lo stesso Arcivescovo sente e definisce «fraterno». È quello che circonda il cardinale Angelo Scola mentre compie a Varese la sua seconda visita nelle Zone Pastorali. Dopo gli incontri con i sacerdoti, i diaconi, i superiori e i seminaristi a Venegono, la celebrazione eucaristica nella basilica di San Vittore e il dialogo con i membri dei Consigli pastorali e affari economici al Palazzetto dello Sport suggellano una giornata intensissima in «quella terra di grande tradizione cristiana» e «città operosa», che è appunto Varese.

Dentro e fuori la Basilica, la gente – più di un migliaio i fedeli, sulla piazza è collegato un maxischermo – si affolla. Il clima è delle grandi occasioni: le autorità locali, con il sindaco Attilio Fontana, sono in prima fila, di fronte al Cardinale che presiede l’eucaristia accanto a sessanta concelebranti, tra cui il prevosto di Varese, monsignor Donnini. Monsignor Luigi Stucchi, vescovo ausiliare e vicario della Zona II, introduce la celebrazione. Su tutto, la bellezza della chiesa, i canti, la liturgia solenne si staglia l’immagine del Signore, «al centro del cosmo e di tutta la famiglia umana». Una «famiglia» che pure deve «ripartire dalle radici della fede», perché «anche in una terra di grande tradizione cristiana», «tanti battezzati sono smemorati».

D’altra parte, è evidente che le nostre terre siano cambiate rispetto al passato. Anche qui, «come in tutte le società è entrata una configurazione plurale dove molte e diverse visioni della vita si incontrano e si scontrano». E, ancora, «il tempo è di travaglio».

La sfida, tuttavia, è sempre la stessa, urgente e impegnativa: dare una risposta da credenti e testimoni: «Come fedeli, pensiamo davvero che Gesù è il principio e fine della nostra vita, della storia dell’uomo e del cosmo?», si chiede l’Arcivescovo.

In queste zone di prosperità buona, la sua è comunque una visione di speranza: «L’azione eucaristica esca da questo tempio oggi tanto frequentato ed entri nelle nostre famiglie, entri nelle relazioni tra sposo e sposa, nell’educazione dei nostri figli. Si manifesti nella magnanimità nell’accogliere chi viene da noi». «Siete qui ad accompagnarmi, a darmi una mano», dice ancora.

Infine l’incontro con gli operatori pastorali, che pare la concretizzazione immediata dell’ascolto delle tante realtà e associazioni che l’Arcivescovo aveva chiesto nell’omelia: l’appello al Palazzetto dello Sport, è, infatti, quello a una fattiva comunione. «Siamo chiamati – sottolinea il Pastore – alla sequela comunitaria di Cristo che si è giocato per noi, si è calato nella storia, che è compagnia al quotidiano dell’uomo». Insomma, suggerisce con chiarezza, occorre testimoniare con i nostri comportamenti, in tutti i luoghi e i momenti nei quali siamo chiamati a vivere e a lavorare, la bellezza di essere con Lui e di Lui. «Qui sta il cuore della vicenda: Cristo, il dono grande del Padre alla famiglia umana – la via alla verità e alla vita, come scrive Agostino -, diventa così la roccia su cui costruire la nostra certezza personale e l’esistenza di tutta la Chiesa».

Chiare, allora, anche le ricadute molto concrete nell’emergenza educativa. «Tutti parlano di valori, di diritti, ma, la di là delle parole, educare non è farne l’elenco, ma farne l’esperienza». «Educa non colui che dice “si fa così”, ma “fa con me così”. Questo è il testimone», conclude il Cardinale citando Deleuze.

 

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