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Film

A proposito di Schmidt

24 Giugno 2011

Regia: Alexander Payne

Interpreti: Jack Nicholson, Hope Davis, Dermot Mulroney, June Squibb, Kathy Bates –

Distribuzione: Nexo (2003) 

Durata: 125′ 

Supporto: 35 mm; Dvd; Vhs

 

Voglia di tenerezza, Sì, copiosa. Ce n’è bisogno per tutti ma soprattutto per le persone anziane che, entrate nella cosiddetta terza età si sentono più sole, senza conforti in una società che cerca di eliderli. Arrivati al momento della pensione, spesso sostituiti da giovani rampanti che non cedono a giulebbosi arrivederci, molti si chiedono atterriti ‘Che cosa faccio?’. E’ certo che non bisogna lasciarsi sopraffare da scoraggiamenti e delusioni: ‘La vita – come fa dire Svevo in ‘La coscienza di Zeno’ – non è ne bella ne brutta: è originale’. In questo struggente e lodevolmente lacrimoso About Schmidt (le lacrime, quando non sono facilone, sono più che legittime, anzi – come diceva il poeta ‘sono il nobile linguaggio dell’occhio’) scorre un po’ tutto dei fatti della vita.! Che, nel caso, è quella di Warren Schmidt, Omaha, Nebraska, funzionario di una compagnia di assicurazione che, a 67 anni (non sono poi molti) deve ‘uscire dal giro’ in quanto è giunta l’ora di andare in pensione (lui aspetta estenuato in ufficio l’ultimo minuto, guardando fisso l’orologio). Già questo per lui, lavoratore probo e zelante, è un duro colpo. Ha sempre passato i suoi giorni tra casa e ufficio, abbandonando fin dall’inizio quella creatività che desiderava contrassegnasse i suoi giorni migliori. Per di più deve rendersi conto – anche questo capita – che gli amici che lo salutano brindando non sempre erano tali. Il destino quando vuole, si accanisce. Una mattina Warren si trova per terra morta la moglie, colpita da embolo cerebrale. Quarantadue anni di matrimonio sono freddati in un attimo. E’ vero che i rapporti tra marito e moglie s’erano un bei po’ avvizziti, Warren sopportava ormai a malapena l’ingrassata metà e i suoi logoranti tic domestici, ma adesso capisce che, in fin dei conti, non era stata una compagna vana (scoprirà un tradimento lontano e sarà indotto a perdonarlo). Una contrarietà in essere è per Warren il matrimonio della figlia Jeannie, che vive lontano, a Denver, e che sta per sposare un tipo strambo che non gli piace per niente. Jeannie oltretutto, già stressata dai suoi problemi, non fa mistero della sua non disponibilità a far compagnia, neanche saltuaria, al vecchio padre al quale non restano che le vecchie fotografie del tempo che fu, di quando la famigliola era giovane e felice e la piccola Jeannie era la sua gioia. Succede così. amici: la vita. scorrendo proprio come un film, ci lascia sempre più lontani, i momenti belli e gli affetti più cari e Warren cerca di consolarsi intraprendendo un viaggio sul lungo camper che gli aveva appena regalato la moglie. Tra l’altro va a rivedere la casa dove è nato, ma non la trova più, e un museo di storia americana dove risalta il coraggio e la determinazione dei pionieri che andarono verso l’Ovest. Per lui è corroborante. Al matrimonio della figlia si presenta contrariato ma finirà, compiici anche alcuni dolori articolari, con l’essere disponibile alla comprensione e all’accettazione. Che vivano felici. Il conforto più vero e più bello, Warren lo trova però scrivendo a una bambino del Terzo Mondo, da lui ‘adottato a distanza’ (sono le parole di queste lettere spedite in Tanzania a fare da filo conduttore alla narrazione), e al quale invia offerte confidandogli quanto gli succede (‘Ricordati, ragazzo, bisogna apprezzare quello che si ha fìntanto che si ha9). Un giorno, ormai tornato a casa, Warren riceve una lettera di commosso ringraziamento dalla suora della missione dove vive il suo ‘adottato’ alla quale il ragazzo ha allegato un suo disegno con due persone che si tengono per mano. Gli occhi dell’uomo si rigano di lacrime. E anche quelli degli spettatori, c’è da scommetterlo. Il regista Alexander Payne, molto accorto, non ne fa sdilinquimento, da soltanto sbalzo a quei sentimenti di amore e solidarietà che rendono meno aspra e più accettabile la vita. E anche più meritoria. Jack Nicholson, imbolsito, caracollante e quasi goffo, è straordinario, di una stupefacente ‘normalità’ che non ricorda certo i suoi personaggi sulfurei di un tempo: ‘L’America e il mondo sono fatti dagli Schmidt – ha detto saggiamente – e io mi ritrovo nella sua stanchezza alle carezze, agli affetti e alle abitudini che poi, invece, tessono la vita. E’ questo il significato del film. Invecchiando le persone migliorano. L’importante è saper sorridere di se stessi, talvolta ridere degli altri e con gli altri’. Bravo, Jack.

Franco Colombo
L’Eco di Bergamo