La proposta dell'anno oratoriano sprona anche gli sportivi a mettersi in cammino, a sentirsi parte di un popolo e a catalizzare le forze positive dello sport, perché sia occasione di crescita integrale per ogni persona che lo pratica e di invito a dare il meglio di sé.

Don Alessio Albertini
Sezione Sport - Servizio Oratorio e Sport

viacosi_sitto

L’invito che ci viene dal nostro Arcivescovo per questo nuovo anno è quello di mettersi in cammino. La scienza che ha studiato il movimento dell’uomo ha definito il camminare come una caduta controllata o uno sbilanciamento compensato. L’uomo può stare in piedi, in equilibrio, ma per muoversi è necessario sbilanciarsi in avanti. È il desiderio di fare nuove esperienze, di uscire dal proprio mondo, per incontrare luoghi e persone nuove, che ci interpellano e al quale abbiamo qualcosa da dare. Ci si mette in cammino perché si avverte che la vita si può viverla anche in un altro modo, si possono rompere le solite abitudini che quasi sono diventate regole fisse da seguire ciecamente. Anche lo sport ha bisogno di gente in cammino per rompere gli schemi e ascoltare una “buona notizia” e le nostre società sportive non rinunciano ad ascoltare la voce di Gesù che chiama ad un’avventura d’amore.

 

 

L’invito del Vescovo Mario: “Io vi mando”.

È iniziata con queste parole dell’Arcivescovo Mario Delpini l’avventura di Oralimpics 2018, i giochi olimpici degli oratori vissuti nell’ExArea Expo a fine giugno: «Io vi mando. Correte per le strade di Milano, anche per quelli che non possono correre, che sono anziani e che sono malati e che non hanno la giovinezza che voi avete». Un gruppo di ragazzi si è ritrovato con l’Arcivescovo, per iniziare una corsa che ha voluto toccare i luoghi simbolo della città: Palazzo Marino, Palazzo della Regione Lombardia, il Carcere di San Vittore, fino ad arrivare allo Stadio Meazza, per poi trasferirsi alla sede di Oralimpics. Anche l’accensione della Fiaccola è stata altamente simbolica. L’Arcivescovo ha preso la fiamma dal cero pasquale posto nel Battistero del Duomo, simbolo di Cristo risorto e del Battesimo che ci ha messo tutti in cammino, come testimoni del Vangelo. E proprio per questa ragione Monsignor Delpini ha voluto ribadire al gruppo dei corridori della Fiaccolata, quale sia il senso più vero dello sport: «Correte fino a Oralimpics dove vi ritroverete da tanti posti per giocare, fare amicizia, conoscere l’arte di stare insieme e condividere lo sport, come un modo per essere uniti e riuscire ad essere avversari che si sfidano e, insieme, amici che costruiscono la città. Lo sport è questo: si gioca, ci si sfida, si premia chi vince e poi si fa festa insieme».

 

 

Via così, a fare festa con lo sport

Nel Giubileo del 2000, san Giovanni Paolo II così si rivolgeva agli sportivi: «Lo sport è in sé un tempo di libertà e di gratuità, come il sabato per gli ebrei e la domenica per i cristiani. E fare sport non è festeggiare di tanto in tanto qualche successo, ma è fare festa alla vita». A volte, anche nelle attività sportive dei nostri oratori o nelle manifestazioni dei nostri ragazzi assistiamo ad un vero e proprio accanimento sportivo che guasta sicuramente lo spirito della “festa” che dovrebbe, invece, essere ricercato, promosso e vissuto. Vogliamo ribadire e impegnare i nostri sforzi perché lo sport torni a costituire una vera fonte di relazioni, di amicizia, di gioco e di festa, favorendo un felice intreccio tra partecipazione e divertimento. Questo sarà possibile se saremo capaci di non rendere lo sport fine a se stesso, ma rimettendo al centro la persona del ragazzo perché possa vivere un’esperienza significativa di costruzione della propria vita. Questo significa, come ha ribadito il recente Documento Vaticano sullo sport, «che un progetto pastorale deve porre al centro la persona, come un’ammirabile unità di corpo, anima e spirito. Lo sport deve essere promosso e praticato nel massimo rispetto della persona e orientato alla sua crescita integrale. L’atleta non può essere ridotto a mero strumento usato per raggiungere risultati sportivi, oggi fin troppo collegati a finalità economiche o politiche». (Dare il meglio di sé)

Lo sport è un vero e proprio tirocinio di vita sul piano esperienziale.

 

 

Via così, a vincere ma non a tutti i costi

C’è chi ama ripetere che, nello sport, non è vero che vincere sia la cosa più importante; vincere è l’unica cosa che conta. Se questo fosse vero, tutto ciò che può aiutare a vincere diverrebbe lecito, anche l’inganno, purché non si venga scoperti. Ma i mali che affliggono lo sport, talvolta anche in oratorio, crescono proprio da questa idolatria della vittoria che fa perdere agli atleti, ai dirigenti, agli allenatori e ai genitori la capacità di tenere in equilibrio i molti valori dello sport . 

«La mentalità della “vittoria a tutti i costi” abbia corrotto lo sport portandolo alla violazione delle sue regole costitutive. In questo processo la “struttura del gioco” si è spezzata e i valori interni dello sport che dipendono dall’accettazione delle regole, si sono persi» (Dare il meglio di sé). Eppure è proprio nelle regole e grazie alle regole che si dischiude lo spazio del gioco, entro il quale mettere liberamente alla prova le proprie capacità. Le regole sono infatti un veicolo di libertà, perché mettono nelle condizioni di conseguire ciò che sta a cuore.

 

 

Via così, a perdere senza umiliazioni

Lo sport può insegnare una verità preziosa: noi non ci identifichiamo coi nostri errori. Anche se sbagliamo non siamo dei falliti (così come se perdiamo non siamo dei perdenti); possiamo sempre girare pagina e ricominciare, anche quando sembra impossibile. Nella vita, del resto, è inevitabile sbagliare, magari fallire tragicamente; eppure noi non siamo (solo) i nostri errori, siamo molto di più; siamo possibilità viva di cambiamento e di nuovi inizi. Vinto è chi si arrende alle sconfitte, non chi fallisce. Tanti campioni amano ripetere, del resto, che la sconfitta insegna molto più della vittoria. È il paradosso dell’umano: cresciamo nella sofferenza cercando la felicità. Quale palestra migliore dello sport per capirlo? Il bello dello sport, infatti, è proprio questo: che dopo ogni sconfitta si può provare di nuovo, rinnovando la sfida con maggiore competenza e determinazione.

 

 

Via così, ad apprezzare il senso della fatica

A generazioni alle quali, per loro fortuna, molto è offerto senza sforzo, risulta prezioso far conoscere il sapore dei risultati conquistati con sudore e tenacia. Giocando si può imparare che i risultati importanti non sono mai gratis, ma richiedono sacrificio, pazienza e attesa. Questa lezione, poi, può (dovrebbe) essere trasferita nell’ambito delle relazioni amicali e affettive, della maturazione della propria vocazione professionale, della conquista di ciò che più ci sta a cuore. Ciò che vale davvero richiede impegno e dedizione, ma regala anche le gioie più grandi. Sembra retorica, ma guardare negli occhi un bambino che riesce in ciò che, sbagliando, credeva di non poter fare, ci conferma che la verità dell’umano passa attraverso la via stretta di una fatica sensata.

 

 

Via così, a sfidare i nostri limiti

Lo sport è sfida intelligente con i propri limiti, coraggio di mettersi alla prova, umiltà di accettare le proprie debolezze. Non è solo superamento indefinito dei limiti, ma percorso di crescita che consente di distinguere tra i limiti che ci de-limitano, descrivendo chi siamo, e i limiti che ci sfidano, consentendoci di scoprirci migliori di quanto immaginiamo di essere. Ci sono limiti e limiti, dunque. La vera sfida, che riguarda l’uomo prima che lo sportivo, è imparare a distinguere i primi dai secondi. Farlo non è semplice: ci vuole pazienza, per gestire anche ciò che non ci è possibile modificare; ci vuole autoironia, per trovare il modo di valorizzare anche le nostre debolezze; ci vuole coraggio, per sfidare noi stessi (prima che gli altri) senza scorciatoie e senza sconti; ci vuole tenacia, per tener duro anche quando costa fatica; ci vuole prudenza, per saper perseguire il bene e il bello in ogni situazione. Come ricorda “Dare il meglio di sé”: «si potrebbe spiegare che il coraggio lo si vede molto di più prima, durante e dopo una sconfitta o una disfatta. Andare avanti a giocare anche quanto non c’è più alcuna possibilità di vittoria per la tua squadra, cercare di far la cosa giusta da un punto di vista etico o fisico quando si sta perdendo malamente una partita, tenere unita la squadra quando ci si sente dei perdenti sono tutte occasioni che dimostrano quanto lo sport sia carico di comportamenti di grande coraggio». Soprattutto servono buoni maestri che insegnino tutto questo ai più giovani, possibilmente con poche parole e tanti fatti.

 

 

Via così, con buoni compagni di strada

In una società come la nostra, dominata dalla tecnologia informatica e dal mondo virtuale, ricca di problemi relazionali, c’è bisogno di persone che sappiano coinvolgere i ragazzi a giocare e soprattutto che sappiano guidare sapientemente questo gioco. Persone buone e sagge, ricche di umanità, di amore e di capacità di camminare con i ragazzi: «Nello sport gli allenatori, gli arbitri, gli insegnanti e i dirigenti giocano un ruolo fondamentale nell’orientare i comportamenti degli atleti e giocatori. Una formazione spirituale e pastorale pensata per loro è improrogabile per promuovere uno sport a misura di persona» (Dare il meglio di sé).

Nessuno potrà sostituire un ragazzo nel vivere la propria vita ma esiste un modo per allenarsi alla vita ed è quello di imparare da qualcuno di cui ci si fida.

 

Ti potrebbero interessare anche: