Un pellegrinaggio senza precedenti abbiamo vissuto ieri salendo il Sacro Monte di Varese: protagonisti atleti, allenatori, dirigenti, genitori, grandi e piccoli accomunati dall'unica passione per lo Sport, guidati nel loro cammino da testimonial che hanno dato il meglio di sé e lo hanno saputo trasmettere.


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Il sole e un bellissimo cielo azzurro accolgono i ragazzi che, con le magliette e la tuta di rappresentanza, si presentano alla prima cappella del Sacro Monte di Varese, nella giornata del primo maggio. Niente allenamenti, per oggi, ma, in gioco c’è la partita più importante: la possibilità di comprendere meglio il significato di quel «Dare il meglio di sé» (dal titolo del documento vaticano sulla prospettiva cristiana dello sport e la persona umana) che campeggia sulla sciarpetta dell’evento. Si colloca così il nuovo appuntamento nel calendario diocesano di quest’anno dedicato alla riscoperta del senso del “pellegrinaggio”, annunciato durante l’incontro dell’Arcivescovo con gli allenatori del 29 ottobre scorso, dedicato al mondo dello Sport, in una giornata di festa in cui vengono coinvolti tutti: centinaia di atleti, sacerdoti, genitori, allenatori, dirigenti delle società sportive di tutto il territorio diocesano. Un cammino da fare insieme, quello del Pellegrinaggio degli Sportivi, che simbolicamente richiama alla «grande attenzione che la Diocesi – spiega don Stefano Guidi, responsabile del Servizio per l’oratorio e lo sport – in questi mesi sta attuando nei confronti delle Società sportive che operano negli oratori, per allearsi nell’avventura dell’educare».

La fatica e l’impegno della salita a gruppi, guidati da un libretto, sono intervellati dalla riflessione di quattro tappe, secondo due percorsi differenti, dove poter incontrare testimonial d’eccezione. Si percepisce l’allegria dei ragazzi, l’amicizia che li lega, la stima e la fiducia nei confronti dei loro mister e allenatori, con cui insieme si soffermano ad ammirare la bellezza della natura, godendo della vista spettacolare o approfondendo le domande e le curiosità che man mano nascono lungo il cammino, all’ascolto delle testimonianze.

 

La salita a tappe con i testimonial

Come si fa a dare il meglio di sé con i propri talenti? Ce lo spiega Dionigi Cappelletti, alla terza cappella, una carriera dedicata al basket e alla pallacanestro in carrozzina. «Tutti noi abbiamo un talento. È importantissimo avere un sogno, il desiderio di raggiungere un obiettivo, custodire e coltivare una passione grande, non solo sportiva… Il sacrificio è fondamentale per raggiungere il massimo del talento. Esiste in primis il talento della vita: saper stare con gli altri, non arrendersi davanti alle difficoltà nella vita, nella scuola, nel lavoro, saperle affrontare! La mia forza è stata la voglia di arrivare a un sogno che avevo nel cuore».

Gli fa eco Aldo Ossola, chiamato “Von Karajan” per la sua capacità di dirigere i compagni, 35 presenze in Nazionale e i Giochi Olimpici disputati nel 1972 per la pallacanestro. «Penso alla parabola dei talenti: il Signore ti dà un talento per farlo fruttare nel miglior modo possibile. Non sottorrerarlo! Ricordo più i sacrifici fatti o le soddisfazioni avute? Con un pallone davanti dimentichi tutte le difficoltà, i sacrifici. Il talento principale è riuscire a sacrificarsi e a non perdere di vista quello che è la nostra meta, quello che vogliamo raggiungere. Sono stato fortunato perchè ho apprezzato molto il talento, coltivato in una squadra dove ci si voleva bene, aiutandosi, stando sempre insieme. Non mollate mai, il talento non riguarda solo lo sport, ma la vita».

Alla quinta Cappella è Giandomenico Ongaro a raccontare ai ragazzi: «Ho cominciato a fare sport negli oratori, in un oratorio di Milano, subito dopo la guerra. Ero “scalmanato” come voi, un giorno, essendo alto, mi hanno proposto di giocare a basket e ho scoperto la passione per la pallacanestro. Ho giocato per dieci stagioni consecutive nell’Olimpia, una squadra che ha fatto la storia del basket italiano. Da 12 anni insegno pallacanestro ai bambini, cercando di restituire tutto ciò che di bello la vita mi ha donato».

Mario Beretta, alla sesta Cappella, confida la bellezza di aver potuto allenare presto, fino alla serie A, le grandi squadre. Dal 2018 è il nuovo coordinatore tecnico del settore giovanile rossonero, dove non mancano le soddisfazioni di proporre un percorso formativo sportivo educativo di un certo livello. «È importante quando fai le partite avere un obiettivo comune condiviso, il primo obiettivo non è vincere (anche se si cerca sempre di farlo) ma imparare, divertirsi, migliorare, fare il massimo per la squadra».

Una vita per il basket, per “Charlie”, come tutti chiamano Carlo Recalcati, in postazione alla settima Cappella. «Mi sono affermato come giocatore di primo livello alla Pallacanestro Cantù ma il ricordo più bello è stato far parte della squadra della Nazionale, rappresentare tutta la Nazione, incontrando in tutta Italia e in tutto il mondo tifosi italiani. Sono tante le figure che permettono agli atleti di andare in campo e, possibilmente, di ottenere la vittoria, di essere squadra e far squadra: atleti ma anche allenatori, preparatori atletici, dirigenti, presidenti, fino a coloro che svolgono i lavori più umili…»

Salendo si incontra Sara Simeoni, ex altista italiana, alla ottava Cappella. Tecnica e determinazione le hanno permesso di arrivare in alto, indossando la maglia azzurra per 72 volte e vincendo numerose medaglie e riconoscimenti e realizzando un primato mondiale nel salto in alto: «Alcuni risultati si possono ottenere con semplicità, se si ha un talento speciale, una capacità. Ma poi… per migliorarsi occorre impegnarsi sempre di più. Lo sport nasce per stare insieme, condividendo qualcosa di bello, ma per migliorarsi non si riesce da soli. Ci vuole qualcuno, l’allenatore e il supporto della famiglia: loro sono le persone importanti anche nei momenti di crisi e di sconforto, che in una carriera sportiva vi assicuro che non mancano».

Non era facile, anni fa, per una ragazza praticare qualsiasi sport si desiderasse… così Claudia Giordani, alla nona Cappella, rivela che, a 10 anni, innamoratasi dello sci, capisce che non era scontato che una ragazza praticasse alcuni sport, né per la federazione né per altre persone importanti. «Io che ho sempre abitato a Milano all’inizio desideravo tantissimo il contatto con la natura. Lo sport era anche il modo per vivere la montagna. All’inizio ero brava dal punto di vista tecnico ma non riuscivo ad esprimermi nella competizione, che rappresenta il cuore di chi fa sport, il bello di cercare di essere migliori, l’importanza di dare il meglio di sé. Quando son riuscita a comprenderlo sono iniziati i successi, soprattutto nei campionati nazionali».

Massimo Lucarelli racconta con simpatia aneddoti del suo passato cestistico alla decima Cappella, dove assicura che «un atleta, anche se passano gli anni, professa sempre sport e così oggi, con la mia mole e il mio peso, nuoto ancora. Prediligevo la tecnica all’aggressività… Sono stato il vice di Dino Meneghin. Nello sport scopri la bellezza di far parte di un gruppo che ti accetta veramente, non importa se obiettivamente hai davanti qualcuno più forte. Gli allenanenti sono più duri della partita stessa…»

Mauro Zuliani chiude la salita alla undicesima Cappella. Ex velocista italiano, specializzato nei 400 metri piani, un record italiano rimasto imbattuto per 25 anni, parla ai ragazzi di due sorelle: vittoria e sconfitta. «Non si vince sempre e per vincere ci vuole sempre impegno. La medaglia vinta oggi non ti aiuta a vincere il giorno dopo… esiste il rischio di vincere e poi “sedersi sugli allori” quando le persone si sentono invincibili e pensano che la vittoria sia per sempre. Lo sconfitto non è un perdente se si prefigge l’obiettivo di cercare di vincere la prossima volta, accettando la sconfitta, senza trovare giustificazioni, impegnandosi: nel momento della sconfitta trova le buone qualità per migliorare te stesso».

 

La festa finale
Le parole del Vescovo Franco Agnesi

La meta della Cappella XIV è stata raggiunta e qui ancora spazio alla testimonianza di Giusy Versace: «Quando ho avuto l’incidente mi sono arrabbiata… ci dobbiamo allenare per rialzarci se cadiamo, allenarci a vivere! Dobbiamo lavorare tanto su noi stessi e ricordare che “con la testa e con il cuore si va dappertutto!”, dite sempre grazie a Dio e sorridete alla vita».

Adolfo Berdun, Laura Morato e Simone De Maggi sono veri campioni: incidenti e malattie potrebbero stroncare i loro sogni, invece sembrano dar loro ancora più forza, quando incontrano il mondo paraolimpico e Briantea84. «Lo sport aiuta a pensare al lato positivo», «Fate sorridere quando vedete qualcuno in difficoltà», «Rimanete ambiziosi, anche se troverete ostacoli», «Sarà difficile realizzare i vostri sogni ma non arrendetevi mai!» sono solo alcuni messaggi della grande lezione di vita che regalano.

Dopo l’ascolto, il cammino, l’animazione e la musica, è tempo del momento conclusivo, con qualche domanda degli sportivi e il Vangelo di Matteo con la “parabola dei talenti”, che culmina con la preghiera guidata dal Vicario generale della Diocesi di Milano, monsignor Franco Agnesi, che ha voluto condividere pienamente il cammino degli sportivi, percorrendo il percorso insieme a loro. Sono accanto a lui don Stefano Guidi e don Alessio Albertini, assistente nazionale del CSI.

«Questa parabola – ha commentato il Vescovo Franco Agnesi – mi colpisce: Gesù non ha detto, vi racconto adesso che uno è fortunato, ha cinque talenti, l’altro medio, l’altro è sfortunato… No, oggi abbiamo scoperto delle cose grandiose. Abbiamo trovato delle persone che ci hanno fatto comprendere quanto è più grande il nostro cuore, la nostra mente, i nostri desideri, la forza che può scaturire in noi di compiere ciò che non avremmo mai potuto pensare.

Tutti abbiamo ricevuto un talento, dei talenti… Quello che ha ricevuto cinque talenti che cosa fa? Guarda, ti ringrazio Signore, tu mi hai dato fiducia, mi hai dato qualcosa che può diventare motivo di bellezza per me, per altri. Invece quell’altro, l’ultimo, pensa che Dio di te abbia una cattiva opinione; se vivi così l’unica cosa che sai fare è un buco per sottorrerrare, nascondere, quello che hai ricevuto. Se invece scopri che il Signore è contento di quello che tu hai, capisci che ti dice: fallo diventare un dono anche per altri. Moltiplicalo, condividilo. È quello che abbiamo cercato di fare oggi… Abbiamo camminato insieme. Quando io ho un dono lo commercio, lo metto in gioco, e diventa un dono anche per altri e allora diventiamo squadra, e diventiamo una realtà che attrae anche altri. Ma poi abbiamo scoperto delle persone, chiamate testimonial, è molto bello questo, non sono idoli (ti prendono tutto e non ti danno niente), non sono solo campioni, lo sono, ma sono testimoni: cioè ciò che hanno custodito, vissuto, l’hanno regalato a noi oggi pomeriggio, l’hanno condiviso con noi. Non ci hanno rubato la giovinezza, anzi ci hanno incoraggiato a dire forza, tocca a voi. Ecco il talento che diventa capace di costruire altri entusiasmi, altri sogni, altre possibilità! La mia vita la faccio diventare un regalo per altri, questa è la santità. La gratitudine di chi è contento perchè rende contenti altri.

La domanda giusta che dovete farvi è: non chi sono io (sono bravo o non sono bravo), ma “per chi” sono io? Per chi ho ricevuto questo dono, per chi sono capace e ho voglia di calciare il pallone, di correre, per chi mi entusiasma la ricerca, la voglia di approfondire le cose, per chi è il segreto che Gesù ci ha raccontato in questa parabola… Così tutti saremo contenti perchè il nostro cuore è fatto per le cose grandi se le condividiamo per gli altri. Grazie per la vostra presenza ragazzi, siate così anche per tutti i vostri amici, che sono nelle vostre società, nei vostri oratori!»

 

Ecco il segreto per promuovere i talenti e le proprie capacità, l’essere squadra, l’impegno e la fatica, il vincere e il perdere… «tutto può essere fatto, se c’è dentro questo entusiasmo che oggi abbiamo condiviso, vissuto insieme».

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