L'oratorio sceglie il bene, in ogni contesto di vita. Anche se la società dovesse corrompersi la scelta resta precisa. Papa Francesco a Panama ha appena ribadito che «Il cristianesimo è Cristo» con tutto quanto ne consegue. Attorno al Giorno della Memoria, l'oratorio c'è a richiamare la coscienza dei più giovani, come "sentinella" e "deposito" di speranza.

Don Stefano Guidi
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi

AuschwitzViaggio_00002

«Il mondo è cambiato. Lo sento nell’acqua. Lo sento nella terra. Lo avverto nell’aria. Molto di ciò che era si è perduto, perché ora non vive nessuno che lo ricorda. Il cuore degli uomini si corrompe facilmente e alcune cose che non avrebbero dovuto essere dimenticate andarono perdute. La storia divenne leggenda, la leggenda divenne mito».

Gli amanti del fantasy apprezzeranno la citazione delle parole con cui si apre la storia del Signore degli Anelli, nella sua versione cinematografica.

Tutto sembra davvero parlarci del cambiamento del mondo. In questa situazione, in cui diventa prioritario sgombrare, liberare, fare spazio, il vero pericolo è perdere la memoria. Dimenticare, convinti che il passato sia lontano e inarrivabile. Forse, ingenuamente rassicurati che la storia non si ripeterà, soprattutto nella sua versione drammatica e violenta. Forse, ingenuamente convinti di essere diversi e migliori dei nostri padri.

Ho avuto la fortuna di partecipare ad una testimonianza di Liliana Segre, nell’ambito della rassegna culturale “Molte fedi” a Bergamo, nell’ottobre scorso.

Il racconto della storia terribile che la Senatrice Segre ha vissuto non si concentra sull’anno e mezzo della prigionia di Auschwitz. Inizia molto prima, nel 1938, anno della promulgazione delle Leggi razziali in Italia. Anno in cui – bambina di otto anni – viene espulsa dalla scuola. Anno in cui il mondo di questa povera piccola viene praticamente stravolto, in un solo giorno! Toccante ed emozionante ascoltare dalla sua voce di come le piccole amiche del giorno prima diventarono immediatamente, senza la minima esitazione, le estranee del giorno dopo. Lontane e indifferenti. Liliana Segre viveva allora a Milano. In Italia. Non in qualche favelas del terzo mondo. Non in qualche tribù primitiva dell’Australia.

Italia. Milano. 1938. Frontiera e progresso della civiltà occidentale.

Qui ci sono le radici, profonde, prepotenti. Questo è l’inizio di quello che sarebbe stato poi: il male assoluto elevato a progetto politico. Non come reazione istintiva ma come azione pensata e voluta. La violenza trova terreno fertile nell’indifferenza. Il cuore dell’uomo si corrompe facilmente. «Le azioni erano mostruose, ma chi le fece era pressoché normale, né demoniaco né mostruoso» (Hannah Arendt).

Voglio credere che l’oratorio sia quel contesto di vita in cui le persone comuni scelgono di stare dalla parte del bene. «La triste verità è che molto del male viene compiuto da persone che non si decidono mai ad essere buone o cattive» (Hannah Arendt).

Scegliere il bene significa custodire la memoria. È bello pensare che l’oratorio sia custode della memoria. In oratorio impariamo a pregare Gesù, Dio della pace. In oratorio si impara a custodire la memoria di Gesù: il pane spezzato e dato e il vino versato sono segni che danno significato alla vita di tutti. In oratorio impariamo a scegliere il bene, perché Gesù l’ha scelto: ha scelto il bene e la vita, sempre. Per sempre.

Un oratorio che educa è consapevole della fragilità e della ricchezza dell’animo umano. Per questo è sia custode che sentinella, cioè attento a cogliere i segnali degli agenti inquinanti, apparentemente invisibili, impalpabili, innocui, eppure capaci di alterare il funzionamento del cuore.

L’oratorio che sceglie il bene si gioca sempre, e fino in fondo, per il bene vero dei ragazzi e di tutti. È un deposito di speranza. Per educare serve l’ostinazione paziente e tenace di chi sa intuire, nel bene presente oggi, il bene potenziale futuro.

Come non citare qui l’esperienza del beato don Pino Puglisi.

«Don Pino sapeva che per far rifiorire il quartiere in cui era nato e cresciuto, bisognava ripartire da bambini e ragazzi, anche se, per stare fermi e in silenzio, gli alibi non mancavano. La sua battaglia era tanto semplice quanto pericolosa: ridare dignità ai giovanissimi attraverso il gioco, lo studio, la catechesi, prospettando loro una vita diversa da quella del «picciotto mafioso». La mafia alleva il suo esercito tenendo la gente nella miseria culturale e assicurando il sufficiente benessere materiale, condizioni che riescono a garantire un consenso indiscusso nei contesti da cui attinge. Don Pino ne inceppava dall’interno il meccanismo, ripetendo a bambini e ragazzi di andare «a testa alta», perché la dignità non è un privilegio concesso da qualcuno, ma dono connaturato al nostro essere qui, voluti dal Padre Nostro» (Alessandro D’Avenia, Letti da rifare, 25. A testa alta, da Il Corriere della sera del 10 settembre 2018).

Ecco il nostro oratorio. Custode della memoria. Sentinella contro il male. Deposito di speranza. Ostinato a scegliere e fare il bene.

Si avverte l’arrivo di un tempo che ci presenta nuove sfide. Un tempo scandito dai rintocchi della nostalgia e della diffidenza. Forse non abbiamo solo bisogno di ponti, ma anche di argini.

Ti potrebbero interessare anche: