Continua la pubblicazione dei commenti per ogni articolo del Decalogo per gli oratori scritto dall'Arcivescovo Mario Delpini e presentato all'inizio dell'anno oratoriano 2018/2019. La riflessione su questi articoli, punto per punto, può continuare ad accompagnare il percorso ORATORIO 2020.

Sergio Tramma
Professore ordinario di Pedagogia generale e sociale - Università degli studi di Milano-Bicocca

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Dal Decalogo per gli oratori dell’Arcivescovo Mario Delpini

 


9. L’oratorio è per tutti, ma non è tutto. In oratorio si favorisce il convergere di tutte le forme di attenzione educativa presenti nel territorio: i gruppi cristiani, la scuola, le associazioni sportive, i gruppi culturali, musicali, teatrali, per l’unità nella pluralità.

 

 

L’oratorio, per molti dei decenni che separano i tempi attuali dalla fine della seconda guerra mondiale, è stato un elemento costitutivo dei territori, una parte del paesaggio che contribuiva a definirlo, a dargli una forma, un carattere. E lo stesso può dirsi per le persone che ne hanno vissuto intensamente l’esperienza: l’oratorio non è stato un assemblaggio di episodi, ma qualcosa che ha contribuito organicamente a disegnare le loro storie di vita.

 

L’oratorio è talmente entrato nell’immaginario collettivo che parrebbe scontato il suo esserci, e esserci in un certo modo. Ma oggi, a differenza del passato, non è più un’esperienza scontata. Nei territori, nelle storie di vita delle persone che lo vivono occasionalmente o continuativamente, nei quartieri problematici quanto in quelli che non paiono esserlo, l’oratorio deve continuativamente confermare se stesso, non può vivere di rendita appellandosi a un glorioso passato o a uno speranzoso futuro.

 

Deve fare tutto ciò non solo per preservare la sua vocazione originaria, lo deve fare perché è investito di una responsabilità sociale tanto importante quanto complessa: l’oratorio, infatti, costituisce oggi uno dei pochi luoghi territoriali dove sperimentare relazioni significative in cui l’altro non è per definizione e a priori un nemico o un avversario o un’assenza e, di questi tempi, ciò è della massima importanza. E lo è anche perché i territori si stanno invece progressivamente svuotando di luoghi e tempi di socialità, di progetti comuni, di imprese collettive, mentre contemporaneamente aumentano problemi e bisogni culturali, educativi, relazionali, così come si moltiplicano dimensioni e storie differenziate di marginalità e fragilità.

 

L’oratorio dunque si colloca e agisce in territori sempre più complessi dal punto di vista educativo, e si inserisce in un sistema che presenta livelli differenziati di coordinamento e qualità dei rapporti tra soggetti individuali e collettivi che ne fanno parte. Ma nel territorio, oltre alle esperienze educative tradizionali riconosciute e riconoscibili (scuola, famiglia, associazionismo, biblioteche, sport ecc.), che sono caratterizzate da intenzionalità e ufficialità, ve ne sono molte altre che sono negativamente educative pur senza apparente o reale intenzionalità: l’isolamento sociale, le tensioni tra i gruppi di popolazione, i luoghi dove le persone sono invitate a pensarsi consumatori e come tali agire, la “assenza-presenza” del web. Per l’oratorio che si pone come soggetto educativo attivo in un territorio, significa attraversare ed essere attraversato quindi da ogni altra esperienza educativa, da quelle più tranquillizzanti a quelle più inquietanti, da quelle virtuose come da quelle che virtuose non sono affatto. Non è facile ma alternative non esistono, se si vuole continuare a essere parte integrante dei territori reali.

 

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