Presentiamo l'esperienza della "Comunità Efraim" di Olgiate Olona: un altro modello di vita comune presente sul territorio della diocesi ambrosiana.

Giovanni Formigoni

efraim

Comunità Efraim nasce nel 2011, dall’esperienza di un gruppo di giovani ragazze e ragazzi che già dal 2008 iniziava ad interrogarsi sulla prospettiva di una vita di comunità.
Una trentina di persone all’inizio, alcune coppie, alcuni già con figli, altri più giovani e appena maggiorenni, legati da varie esperienze di oratorio, di associazionismo, di impegno e di amicizia avevano intrapreso un cammino di discernimento sulla comunità per provare a costruire una propria dimensione di vita insieme.

Dopo quasi tre anni di incontri, confronti, riflessioni e soprattutto piacevoli momenti di condivisione, una parte di questo ampio gruppo, 3 ragazze e 3 ragazzi, uniti dal fatto di trovarsi in una fase di vita che lo permetteva (ancora in fase di uscita dal nucleo familiare di origine ma già con una certa autonomia economica), hanno deciso di farsi avanti con Piero Balossi Restelli, proprietario degli immobili e dei terreni in cui già era presente la Comunità Sichem, presente a Olgiate Olona già dal 1999, consapevoli di poter trovare ascolto e comprensione alla richiesta di un appartamento in cui, di comune accordo con il resto del gruppo più ampio, iniziare a sperimentare fin da subito una dimensione di vita comune, “funzionale”, per come la si immaginava all’inizio, al cammino più ampio del “gruppo dei 30”.
La buona stella che fin da subito ha vegliato sull’esperienza che poi sarebbe diventata Efraim ha fatto sì che Piero, un uomo grande a cui andrà la riconoscenza di sempre più persone negli anni, e che vogliamo ricordare a poco più di un anno dalla sua scomparsa il 2 maggio del 2021, rispondesse alla richiesta “moltiplicandola”, e dall’idea di un piccolo appartamento si arrivò a Villa Restelli: la storica casa di vacanze della nobile famiglia di Milano, appena ristrutturata, concessa a quei 6 ragazzi per dar vita all’esperimento di una vita comune più intensa.

I primi tempi di Comunità Efraim, che scelse di chiamarsi così come la tribù di Israele priva di un territorio definito “perché siamo come un popolo che accampa le sue tende temporaneamente nel territorio di Sichem, sostando nei pressi delle comunità che lo abitano” (Regola di Comunità Efraim, p.1), furono di grande sperimentazione. A poco a poco, successero però due cose inattese.
Da un lato tantissime e tantissimi giovani iniziarono ad avvicinarsi incuriositi alla “villa”, grazie anche all’impegno della piccola comunità per aprire i suoi grandi e belli spazi ad eventi culturali offerti alla cittadinanza e al territorio, una delle cose che interessava maggiormente a Piero. E sorprendentemente i giovani che arrivavano con maggior curiosità e idee più chiare sul desiderio di far parte di questa esperienza non erano quelli che si pensavano più vicini, compagni di mille avventure giovanili negli stessi ambienti, ma “nuovi amici”, che denunciavano un bisogno represso di maggiori e più profonde relazioni, proprio in quella fase della vita in cui ciascuno, all’interno delle nostre società, viene spinto gentilmente ad imparare a far conto su sé stesso e a costruire la propria indipedenza individuale.
Dall’altro l’esperienza partita quasi per gioco prendeva via via forma e interrogava sempre più i suoi abitanti sul senso di una vita così, mettendo a volte anche brutalmente davanti agli occhi la necessità di una regola, o almeno di un patto comune, di un documento di intenti, che custodisse il significato di quello spazio e quel tempo trascorsi assieme per essere ripreso quotidianamente e soprattutto nel tran tran dei momenti normali, quando insomma l’entusiasmo lascia il posto all’abitudine.
Entrambe queste cose facevano capire sempre più chiaramente, in un processo durato in realtà per tutti i primi 5 anni dell’esperienza di Comunità Efraim, che “la villa” si stava staccando dalla sua radice nel gruppo della “comunità dei 30”, e che aveva bisogno di una sua autonomia e identità, e allo stesso tempo, che al contrario di quando sembrava un tentativo di breve durata, si stava delineando come un’esperienza duratura e stabile.

Duratura e stabile sia perché ancora oggi, undici anni dopo, Efraim è pronta ad accogliere un nuovo gruppo di giovani, il quarto esclusi i fondatori, che la abiterà per tre anni, sia perché, appunto, anche per la persona singola che la attraversa si era capito fin da subito che Efraim non fosse pensata per essere un soggiorno breve, un’esperienza mordi e fuggi, ma una realtà che si incardinasse nella propria quotidianità “normale”, facendo sperimentare la dimensione comunitaria come agisce all’interno della propria vita di tutti i giorni.
Dopo aver accolto le prime persone che si sono aggiunte al gruppo, già nel 2012 e nel 2013, la storia di Comunità Efraim si è definitivamente consolidata come una comunità temporanea di formazione quando il primo gruppo di fondatori, insieme ad altri rimastigli vicini, ha gradualmente lasciato la Villa ad altri, scegliendo di fondare Comunità Pachamama, una comunità stabile di vita che condivide i suoi spazi con Sichem, al di là del bosco, e decidendo di continuare ad “accompagnare” l’esperienza dei gruppi che via via si alternano negli anni ad Efraim, “supportandoli” nelle loro necessità formative, nella gestione dello spazio, nella vita pratica e quotidiana e nell’organizzazione della rassegna annuale di eventi culturali che quest’anno compie il suo 11° anno.

Comunità Efraim è oggi una comunità di formazione della durata di tre anni, aperta a giovani ragazze e ragazzi interessati a sperimentare la vita comunitaria nella quotidianità per un periodo di tempo, con la prospettiva poi di uscire e provare a coltivare questa dimensione in altri luoghi e con altre persone più stabilmente. Per questi motivi l’ossatura dell’esperienza sono dei percorsi formativi che toccano le tre dimensioni fondamentali del vivere umano e comunitario: il rapporto con il senso profondo delle cose e dell’esistenza (un percorso di formazione spirituale), con l’altro, che è sorella/fratello e misura della mia vita (un percorso di formazione alla vita comune), e con il mondo, nel quale la comunità è immersa e di cui si sente parte attiva e permeabile (un percorso di formazione socio-politico). Il tutto assieme ad una quotidianità che negli anni si è definita scoprendo pian piano ciò di cui ha bisogno una vita comune per essere piena e gioiosa: momenti dedicati “liberati” dagli impegni della vita personale, per stare insieme, cenare, giocare e godere della bellezza, un momento quotidiano di silenzio e preghiera per riconnettersi con l’essenziale, e non da ultimo l’energia di tante attività comuni, non solo gli eventi culturali da organizzare, che arricchiscono con “il fare” la dimensione fondamentale della relazione tra le persone.

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