Don Marco Gianola, collaboratore dell’ufficio diocesano per le Cause dei Santi, dopo aver conseguito il titolo di Postulatore in Vaticano, ci aiuta a comprendere meglio il valore dell’esistenza di Charles de Foucauld e la sua rilevanza per la Chiesa di oggi e per le giovani generazioni.

Katia Castellazzi
Servizio per i Giovani e l'Università

Charles de Foucauld - Sito

Domenica 15 maggio, in piazza S. Pietro a Roma, Charles de Foucauld verrà proclamato Santo.

Vi proponiamo una breve intervista a don Marco Gianola che, in qualità di collaboratore dell’ufficio diocesano per le Cause dei Santi, dopo aver conseguito il titolo di Postulatore in Vaticano, ha seguito molto da vicino il percorso che ha condotto dapprima alla sua beatificazione e successivamente alla sua canonizzazione.

Può descriverci qualche aspetto affascinante di Charles de Foucauld?
«Un tratto simbolico è la sua conversione: Charles de Foucauld è uno dei beati la cui vita, dopo la conversione e quindi dopo l’incontro con Gesù, è cambiata maggiormente. Egli, infatti, proveniva da una famiglia lontana dalla fede e lui stesso conduceva una vita tutt’altro che cristiana: potremmo quasi definirlo un san Francesco del secolo scorso; anche il poverello d’Assisi, infatti, era figlio di mercanti e prima della conversione aveva partecipato ad azioni belliche.
Una volta, però, entrato in contatto con Gesù, il cuore di Charles si è lasciato cambiare ed è sorta in lui l’invocazione “Dio, se esisti, fa’ che ti conosca” che, insieme a certi incontri profondi, ha scavato nella sua anima un solco profondo che lo ha portato ad abbracciare con radicalità estrema la fede cristiana: è vissuto, infatti, in un monastero a Nazareth e poi nel deserto per portare Cristo dove ancora non era arrivato».

Un altro tratto distintivo di questa figura è la solitudine, può darci una sua interpretazione?
«La sua è stata una solitudine feconda: disponendo di un altare adibito all’adorazione eucaristica permanente, è vissuto alla costante presenza dello Spirito Santo. La sua vita è stata una testimonianza viva del Vangelo: “Se il chicco di grano […] muore, produce molto frutto” (Gv, 2,24-26). Dopo la sua morte sono infatti sorti molti ordini che si sono richiamati e si richiamano tuttora alla sua spiritualità, quali i Piccoli Fratelli e le Piccole Sorelle di Gesù».

La beatificazione di Charles ha richiesto molto tempo: dal 1927 (quando venne aperto per la prima volta il processo di beatificazione) fino al 2005, quando il Papa emerito, Benedetto XVI, lo ha dichiarato beato. Il processo di santificazione al contrario è stato più rapido, può raccontarcelo?
«L’istruttoria per il secondo miracolo di Charles si è svolta nel Sud della Francia: a Saumur, infatti, nel 2016, un giovane di nome Charles, 21enne, cadde in cantiere da un’altezza di 15 metri circa e un voluminoso montante di legno lo trapassò da parte a parte. Una simile caduta, normalmente, provoca la morte o la paralisi della vittima; in questo caso, invece, Charles si riprese velocemente e tornò presto al lavoro, senza nessuna conseguenza fisica o psicologica. Questo miracolo, realizzatosi in occasione della memoria liturgica del Beato Charles de Foucauld (nel centenario della morte, anno in cui tutta la “Famiglia spirituale di Charles de Foucauld” stava elevando molte preghiere per chiederne la canonizzazione) su un ragazzo figlio di cristiani ma non battezzato e non praticante, è un segno dell’universalità della missione di Charles de Foucauld. L’istruttoria diocesana è partita nel 2017 e si è conclusa nel 2020. A causa della pandemia la data della canonizzazione è poi slittata di un paio d’anni, ma ora è vicina: sarà il 15 maggio 2022».

Che modello può essere Charles per la Chiesa?
«Charles ha vissuto la sua vita nella sequela Christi, in quanto fortemente convito che “quando si ama, si imita”: questo è per i giovani il lascito più forte del beato e futuro santo. Spesso i ragazzi sono in balia degli influencer, assetati di modelli da seguire: a loro Charles offre come punto di riferimento Gesù.
Alla Chiesa istituzionale, invece, Charles insegna in primis la centralità della povertà: non tanto materiale, ma di spirito; la povertà che fa abbandonare i pesi superflui, quella che rimette al centro la missione sulle anime e in secondo luogo la virtù dell’umiltà, contrapposta all’orgoglio e alla superbia: solo attraverso l’umiltà si può diventare testimoni autentici del Vangelo».

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