Le «vie» incontro all'umano, su cui la Chiesa italiana ha lavorato nel Convegno nazionale di Firenze del novembre 2015, diventano l'orizzonte per riflettere sull'oratorio, soprattutto in occasione della Settimana dell'educazione che si svolge dal 21 al 31 gennaio 2016.

Don Samuele Marelli
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi

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Tornando dal Convegno di Firenze ho pensato che le cinque vie che hanno segnato il cammino di riflessione sul «nuovo umanesimo» potessero essere applicate anche alla vita dell’oratorio e, nello specifico, dei nostri oratori ambrosiani. Le cinque vie si rifanno a cinque verbi che segneranno certamente il futuro della Chiesa italiana e quindi anche il nostro.

In vista della Settimana dell’educazione, queste cinque vie possono certamente aiutare a tracciare l’orizzonte per disegnare l’oratorio oggi, anche suffragati dalle riflessioni intorno ai risultati della ricerca che, per la sua rilevanza e articolazione, ha tracciato un vero e proprio «censimento degli oratori», dandoci la possibilità di avere un vero e proprio «sguardo dall’alto».

I cinque verbi di Firenze, validi per il nostro pensiero sull’oratorio, sono: educare, evangelizzare, abitare, uscire e trasfigurare. Per quanto sia molto ardua una sintesi, per ogni «via» offro pochissime parole, quasi sotto forma di appunti, certo di un più ampio approfondimento all’interno di ciascun oratorio.

Educare. L’oratorio educa attraverso lo stile dell’animazione, che si realizza nell’«imparare facendo», nella promozione di attività coinvolgenti, tra la formalità e l’informalità, cercando sempre l’armonizzazione di queste due. L’oratorio educa attraverso un confronto intergenerazionale, trasmettendo la bellezza di diventare grandi.

Evangelizzare. Significa mettere al centro il vangelo. Ciò avviene in oratorio anzitutto con il «primo annuncio» ma, soprattutto, esprimendo che cosa il vangelo abbia da dire alla vita. È fondamentale una profonda implicazione tra vangelo e vita, ponendo grande attenzione a chi evangelizza e a come esso debba essere formato. La programmazione, nei nostri oratori, non può essere scambiata per formazione.

Abitare. In questo caso dovremmo imparare a lasciare ciò che non serve più o non è più realizzabile, per intraprendere con coraggio e con fiducia strade nuove, discernere le nuove possibilità, accogliendo le sfide che ci interpellano. Il rischio talvolta è di investire energie là dove sappiamo che avremo dei frutti certi, ma, per abitare questo tempo, dovremmo mettere il nostro impegno anche dove i frutti non sono così sicuri.

Uscire. L’ oratorio è aperto alla realtà, l’oratorio è per la vita, mai fine a se stesso. Così si scopre che si può anche abitare in una piccola casa, purché abbia una grande finestra sul mondo. L’oratorio è uno dei segni più belli della Chiesa in uscita, perché è sempre legato al suo territorio. Il mondo non è solo da evangelizzare ma è il luogo dove il Signore opera. In questo senso, il tema dell’uscita ci interpella a rinnovare continuamente la progettualità.

Infine, trasfigurare. L’incontro con il Signore Gesù ha sempre cambiato la vita, ha sempre trasformato la realtà. Allora pensare l’oratorio alla luce di questo verbo significa imparare a partire dai bisogni per trasfigurarli in esperienze che siano umanamente e cristianamente significative. È importante anche trasfigurare il nostro sguardo elevandolo alla ricerca dei risultati. Non è guardando solo ai risultati che possiamo giudicare il nostro operato. La chiave di lettura è invece la fedeltà della proposta al vangelo.  Questo ci basta.

In vista della prossima Settimana dell’educazione, invito a guardare l’oratorio nel modo giusto. Non certo nella modalità nostalgica, che rimpiange il passato; forse nemmeno con lo sguardo di chi vive il presente, soffermandosi solo sulle problematicità e le mancanze. Lo sguardo sulla realtà dell’oratorio, tenendo conto delle cinque vie che abbiamo solo tratteggiato, è quello dei «profeti». Essi guardano al passato e cantano ringraziando; guardano il presente e pregano; guardano il futuro e sorridono, perché lo Spirito non smette di suggerire loro sogni e visioni.

Anche a noi sia dato di educare, evangelizzare, abitare, uscire, e trasfigurare, cantando, pregando, sorridendo, e continuando a sognare il futuro, proprio come i profeti.

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