Chiediamo a chi lo sport lo vive "da dentro" di aiutarci in una riflessione sul rapporto della persona umana con lo sport, in seguito alla pubblicazione del documento vaticano "Dare il meglio di sé" sulla prospettiva cristiana dello sport. Daniele Cassioli, campione mondiale paralimpico, ci aiuta a riflettere sul valore unico dello sport praticano da tutti.

Daniele Cassioli
Campione Paralimpico

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Quando penso allo sport mi torna alla mente una citazione di Manzoniana memoria.

Renzo si trova ad essere quasi del tutto smarrito durante la sua fuga, sta per perdere il lume della ragione, sembra non trovare un motivo per continuare nel suo intento ma sente il rumore di un fiume. Si tratta del fiume Adda che viene definito in un crescendo di sentimento, liberazione e gioia come amico, fratello, salvatore.

Dentro questo climax ritrovo tutto il mio sentimento nei confronti dello sport.

La mancanza della vista rischiava di portarmi a smettere di sperare, a gettare la spugna. Insomma: mi sentivo un po’ come Renzo nel suo cammino spaesato.

Ecco in aiuto il rumore dello sport, un riferimento talmente fermo, potente e costante che non si può non amare.

Lo sport per me è un compagno di vita, una presenza che non pretende nulla, solamente dona.

Attenzione, per me lo sport non è solo il pallone, il basket, il nuoto o lo sci.

Fare sport significa anche giocare a nascondino, ruba bandiera o arrampicarsi su un albero.

Tutto ciò che ci permette di esprimere quello che siamo con un gesto del corpo e della mente per me è sport, questo fantastico modo per valorizzare ciò che sei, ciò che hai, ciò che sai fare.

Lo sport non trova dimora nella metà vuota del bicchiere di ognuno di noi mettendo in difficoltà la percezione di noi stessi.

Al contrario ci permette di esibire le proprie qualità, mostrare i propri talenti, si fa praticare da tutti, purché si voglia esaltare la metà piena del bicchiere, quella metà che tutti, proprio tutti, abbiamo dentro.

Per questo chi non vede, chi non cammina, chi non sente, chi non ride, chi crede di non essere, può e deve fare sport. Deve amarlo, praticarlo, osservarlo, deve sporcarsi le mani, sbucciarsi le ginocchia,  sudare  e sudarlo, fino all’ultima frazione dell’ultimo secondo dell’ultima giornata. Tanto lui accoglie tutti tra le sue capienti braccia, sa bene che sono i punti di forza a fare di un individuo una persona. Anche un “difetto” così importante come la cecità viene mostruosamente ridimensionato davanti allo sport, sci nautico nel caso mio.

Io ho un rapporto viscerale con lo sport e per questo mi considero un privilegiato.

Lo sport mi ha regalato autostima, amici, conoscenza e rispetto delle regole, dolori, gioie e tanta consapevolezza. Quella consapevolezza che ti entra dentro e ti resta poi nella professione o nei rapporti umani.

C’è stato sempre, anche quando ho pensato di abbandonarlo. Senza rinfacci o presunzioni ha tenuto tesa la sua mano verso di me, lasciandomi la scelta di prenderla o meno con la mia.

Ecco perché per me lo sport è proprio un amico, un fratello, un salvatore.

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