Gli animatori lo stanno per incontrare venerdì in Piazza Duomo, così come i Cresimandi allo Stadio Meazza il prossimo 26 maggio. L'ultimo incontro con i 14enni al Sacro Monte sotto la pioggia ci ha dato motivo di rilevare alcune "parole" attorno all'Arcivescovo Mario.

Don Stefano Guidi
Direttore della Fondazione Oratori Milanesi

Narrano le cronache diocesane milanesi che il 12 maggio 2018 l’Arcivescovo Mario abbia volentieri partecipato all’annuale incontro dei quattordicenni della diocesi al Sacro Monte di Varese. È di comune accordo considerare il mese di maggio alquanto imprevedibile, nonostante le migliori app in circolazione. E così: ci fu la pioggia. Puntuale alle 17. Come se nemmeno lei volesse mancare all’incontro. Sempre le cronache – chissà poi chi le ha scritte … – narrano che l’Arcivescovo sembrava quasi divertito, sicuramente a suo agio nell’inevitabile baccano creato dai ragazzi colpiti dalla pioggia battente. Erano in tutto circa 3000 persone. Congedata la folla dei ragazzi, ormai felicemente rassegnati dall’inevitabile lavaggio, impugnò l’ombrello e si diresse verso il corteo in discesa, nell’intento di salutare con una stretta di mano e un sorriso, e con un semplice ciao, tutti i ragazzi che si avviavano a casa. Fu l’entusiasmo generale. Tutti volevano stringergli la mano, salutarlo, ringraziarlo. La stretta di mano e il sorriso dell’Arcivescovo che salutava tutti al ritorno verso casa, fu il sole di quel pomeriggio. E tutti furono contenti. Bagnati fino alle ossa, eppure felici.

 

Narrano ancora le cronache diocesane milanesi che, pur essendo appena al primo anno di episcopato, di incontri di questo genere era ormai già impossibile tenerne il conto. In pochi mesi l’Arcivescovo era diventato una presenza abituale. Non era necessario avere dei motivi particolari per vederlo, per parlargli, per invitarlo in parrocchia o in oratorio. Lo si poteva incontrare mentre camminava per Milano, oppure in bicicletta o sui mezzi pubblici. Si poteva pregare il rosario con lui, e perfino parlargli in una serata qualsiasi. L’Arcivescovo è uno di casa, uno di noi.

 

Il commento a lato delle cronache diocesane milanesi, scritte da chissà chi… vuole esprimere un semplice grazie all’Arcivescovo per il lavoro di questi primi mesi di episcopato.

 

Il grazie si concentra attorno a tre parole.

 

La prima parola è quotidianità. Ci stiamo abituando a vivere una relazione con l’Arcivescovo che sia normale, quotidiana, famigliare. Il gesto semplice della vicinanza, vissuto come deve essere nella più totale spontaneità, sa provocare il risveglio di umanità, di calore, di amicizia, che fa bella la relazione con la Chiesa. Questa facilità di rapporto ci fa desiderare che la fraternità quotidiana possa essere lo stile praticato nella Chiesa. Che ogni Comunità possa essere il luogo dove si sperimenta una fraternità immediata, semplice e sincera. Che non siamo fratelli e sorelle per dogma, ma perché vicini e chiamati a condividere un particolare tratto di strada della nostra vita.

 

Sogno, è la seconda parola. Le prime parole che l’Arcivescovo ci ha rivolto attingono al Padre Nostro e all’Apocalisse. Non si è presentato con una strategia o un programma. Ma ci ha chiesto di contemplare il sogno di Gesù: il Regno del Padre. Fin dall’inizio l’Arcivescovo Mario ci ha provocato a sognare la Chiesa. Non a organizzarla, mantenerla, restaurarla. Ma a sognarla. A partire dal sogno di Gesù: un unico Padre, un’unica fraternità di popoli, un Regno. Anche l’ideazione del Sinodo Minore, è tutt’altro che un’idea minore, nelle premesse e nelle attese, fin dal titolo: Chiesa dalle genti. E già abbiamo capito che il Sinodo ci proietta oltre la stesura di un documento, ma ci provoca soprattutto ad essere diversi nello stile di Chiesa, praticato in ogni Comunità.

 

La terza parola è letizia. Le prime parole che l’Arcivescovo Mario ha rivolto alla diocesi sono state una richiesta di aiuto per costruire insieme una Chiesa semplice e lieta. Considerando il momento storico, sappiamo per diretta esperienza quanto faccia presa in noi la rassegnazione, la nostalgia dei tempi andati, la paura di cambiare. L’Arcivescovo sembra chiederci di non lasciarci rubare la gioia e la speranza. La letizia che siamo invitati a custodire e diffondere non consiste nel clamore della vittoria, nella soddisfazione della riuscita, nell’aumento dell’audience. La letizia è ciò che meglio corrisponde alla presenza di Gesù, che ci precede sempre e dappertutto.

 

Grazie Arcivescovo Mario!

 

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