Una chiamata rinnovata e incessante alla conversione, che apre il cuore all’accoglienza e al perdono offerto a quei “tutti” cui il Risorto ci invia

di Mari Mitzi
ausiliaria diocesana

Un nuovo umanesimo: questo il compito che papa Francesco e il nostro vescovo Angelo stanno urgentemente consegnando alla Chiesa.

 

Una Chiesa da riscoprire e da “vivere” come “popolo di Dio”, categoria cara a papa Francesco e ripresa dal Concilio Vaticano II, per diventare fermento di Dio in mezzo all’umanità; per non aver paura del “mondo” ma disporsi ad amarlo come il “campo” di Dio.
Una Chiesa capace di “uscita”. Con lo sguardo fisso su Gesù, capace di tradurre in ogni gesto il “Volto della misericordia”: imparando il suo modo di vedere la vita; assumendo i suoi sentimenti e il suo pensiero.

 

Una chiamata rinnovata e incessante alla conversione, che apre il cuore all’accoglienza e al perdono offerto a quei “tutti” cui il Risorto ci invia.

 

Una Chiesa umile, senza verità in tasca da affermare come “assolute”, perché di Assoluto c’è solo l’amore di Dio in Cristo Gesù.
Questo si impara soprattutto stando in mezzo ai giovani, condividendo le loro paure e i loro sogni, ascoltando la loro rabbia e accogliendo le loro delusioni, decifrando il loro “linguaggio”, a volte così diverso dal nostro.

 

Una Chiesa disinteressata, che porta il suo unico “tesoro” ma non pretende sia subito riconosciuto e accolto: ha la pazienza dell’ascolto e del dialogo, la pazienza del “seminatore”.

 

Una Chiesa capace di fantasia nel tradurre la carità in gesti di misericordia, semplici e feriali, che attraversano le dimensioni fondamentali della vita: gli affetti, il lavoro e il riposo.

 

Tutti possono vivere e portare il Vangelo nel tessuto delle relazioni che fanno la società. La sfida per questa nostra Chiesa: diventare un meraviglioso “poliedro” capace di riflettere la luce di Dio e di camminare insieme con uno stile autenticamente sinodale.