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Calcio e violenza

Il Daspo e quegli striscioni indecenti

4 Maggio 2010

Continuano a far discutere le parole del ministro degli Interni Roberto Maroni, secondo cui il Daspo, quella norma anti-teppisti che si applica ai violenti da stadio, andrebbe applicata «anche a certi giocatori e a certi genitori». Il titolare del Viminale faceva riferimento al calcio che il laziale Radu aveva dato a un romanista dopo il derby, così come a «quei genitori che incitano alla violenza i propri bambini in campo».
«La tessera del tifoso – ha aggiunto Maroni – è stata contrastata da alcune tifoserie e di conseguenza da alcune società succubi di quelle tifoserie». Parole forti, provocatorie, che naturalmente hanno scatenato la reazione dei diretti interessati. Per esempio, il livornese Cristiano Lucarelli ha avuto buon gioco a ribaltare il problema: «Il Daspo anche per i calciatori? Ho visto fare a schiaffi anche in Parlamento, se adottassero questo provvedimento anche lì saremmo tutti più contenti». Al di là delle battute però il problema dobbiamo porcelo, perché altrimenti, in presenza di comportamenti violenti sul campo, non si può pretendere che dagli spalti ci si comporti come a Oxford.
La logica della coperta troppo corta, le polemiche infinite, i veleni di Calciopoli, trovano il loro culmine proprio nei comportamenti sbagliati dei tesserati. Che dire poi di certi genitori che sui campetti amatoriali incitano i figli a qualsiasi nefandezza contro i loro piccoli coetanei, pur di arrivare a vincere quella partita, che per bimbi di 8, 9, 10 anni dovrebbe solo significare divertimento puro e nulla più?
Ma c’è dell’altro. Il 25 aprile i tifosi della Juventus hanno esposto due striscioni. Il primo recitava: “8 settembre 1943 – 25 aprile 1945: onore ai caduti della Rsi”. Il secondo: “25 aprile festa degli infami”. Un’infamia è stata che questi striscioni, alla faccia del Daspo e delle altre leggi anti-violenza, siano rimasti esposti praticamente per tutta la partita. Ma non si dovevano sospendere i match in casi come questi? Perché il regolamento sugli striscioni è chiaro: tutto quello che si espone allo stadio va autorizzato. E se si espone uno striscione non autorizzato, scatta «l’immediata rimozione e l’allontanamento dall’impianto del trasgressore, cui potrà essere applicata la normativa in materia di divieto di accesso agli impianti sportivi». La citazione è presa direttamente dal regolamento dell’Osservatorio che introdusse questa norma sugli striscioni all’interno delle norme che segnarono il giro di vite voluto dal ministro Giuliano Amato dopo la morte dell’ispettore Raciti.
È solo un esempio che ci aiuta a capire come, al di là delle provocazioni del ministro Maroni, qualcosa nel meccanismo sulla violenza negli stadi si sia pericolosamente inceppato. Continuano a far discutere le parole del ministro degli Interni Roberto Maroni, secondo cui il Daspo, quella norma anti-teppisti che si applica ai violenti da stadio, andrebbe applicata «anche a certi giocatori e a certi genitori». Il titolare del Viminale faceva riferimento al calcio che il laziale Radu aveva dato a un romanista dopo il derby, così come a «quei genitori che incitano alla violenza i propri bambini in campo».«La tessera del tifoso – ha aggiunto Maroni – è stata contrastata da alcune tifoserie e di conseguenza da alcune società succubi di quelle tifoserie». Parole forti, provocatorie, che naturalmente hanno scatenato la reazione dei diretti interessati. Per esempio, il livornese Cristiano Lucarelli ha avuto buon gioco a ribaltare il problema: «Il Daspo anche per i calciatori? Ho visto fare a schiaffi anche in Parlamento, se adottassero questo provvedimento anche lì saremmo tutti più contenti». Al di là delle battute però il problema dobbiamo porcelo, perché altrimenti, in presenza di comportamenti violenti sul campo, non si può pretendere che dagli spalti ci si comporti come a Oxford.La logica della coperta troppo corta, le polemiche infinite, i veleni di Calciopoli, trovano il loro culmine proprio nei comportamenti sbagliati dei tesserati. Che dire poi di certi genitori che sui campetti amatoriali incitano i figli a qualsiasi nefandezza contro i loro piccoli coetanei, pur di arrivare a vincere quella partita, che per bimbi di 8, 9, 10 anni dovrebbe solo significare divertimento puro e nulla più?Ma c’è dell’altro. Il 25 aprile i tifosi della Juventus hanno esposto due striscioni. Il primo recitava: “8 settembre 1943 – 25 aprile 1945: onore ai caduti della Rsi”. Il secondo: “25 aprile festa degli infami”. Un’infamia è stata che questi striscioni, alla faccia del Daspo e delle altre leggi anti-violenza, siano rimasti esposti praticamente per tutta la partita. Ma non si dovevano sospendere i match in casi come questi? Perché il regolamento sugli striscioni è chiaro: tutto quello che si espone allo stadio va autorizzato. E se si espone uno striscione non autorizzato, scatta «l’immediata rimozione e l’allontanamento dall’impianto del trasgressore, cui potrà essere applicata la normativa in materia di divieto di accesso agli impianti sportivi». La citazione è presa direttamente dal regolamento dell’Osservatorio che introdusse questa norma sugli striscioni all’interno delle norme che segnarono il giro di vite voluto dal ministro Giuliano Amato dopo la morte dell’ispettore Raciti.È solo un esempio che ci aiuta a capire come, al di là delle provocazioni del ministro Maroni, qualcosa nel meccanismo sulla violenza negli stadi si sia pericolosamente inceppato.