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La Di Centa racconta il successo del fratello e i “suoi” Giochi MANUELA, SORRISO DI SORELLA

5 Giugno 2008

«Giorgio mi ha regalato emozioni più forti di quelle provate
quando vinsi io: la sua è stata la vittoria di tutta la famiglia.
È stato un onore premiarlo, così come vivere un’Olimpiade
in Italia da componente del Cio. E fare il “sindaco”
del Villaggio olimpico di Torino mi ha riempito d’orgoglio»

di Mauro Colombo

Il più smagliante dei suoi leggendari sorrisi Manuela Di Centa l’ha riservato al fratello Giorgio, premiandolo sul podio olimpico dopo i successi nella staffetta e nella 50 km. Lei – icona vincente di Lillehammer 1994 (cinque medaglie, due d’oro), oggi vicepresidente vicario del Coni, componente dell’esecutivo del Cio e, a Torino 2006, “sindaco” del Villaggio olimpico torinese – ha posto il metallo più prezioso al collo del “fratellino”, giunto a cogliere la massima gloria a 33 anni, dopo avere lottato a lungo con l’asma che ne frenava le prestazioni, ma non con i precedenti “ingombranti” della sorella.

Già, perché le invidie o le rivalità sono bandite dalla famiglia Di Centa, dove papà Gaetano ha cresciuto tre figli a pane e sport, mamma Maria Luisa ne ha accondisceso la passione e Manuela e Giorgio hanno raccolto le ambizioni agonistiche che il fratello maggiore Andrea, a causa di un incidente, non ha potuto soddisfare. Una famiglia strettasi attorno a Giorgio nel momento del trionfo: «C’eravamo proprio tutti – racconta Manuela -: mio padre, mio fratello, mio marito, la moglie di Giorgio con le due bambine… Un coinvolgimento fantastico».

E poi la premiazione…
Quella dell’ultima gara spetta al presidente del Comitato Olimpico Internazionale. Ma Jacques Rogge ha voluto cedermi il posto quale membro del Cio. Un grande onore, che lì per lì mi ha quasi terrorizzata…

Il significato più bello della vittoria di Giorgio?
Ha dimostrato che un successo premia la persona, oltre all’atleta: devi avere qualità fisiche, preparazione adeguata, ma anche cuore, testa, anima.

Non ha mai sofferto il complesso del “fratello di…”?
Assolutamente. È una persona sensibile e saggia, capace di far tesoro dell’esperienza delle persone a lui vicine, da mio padre a mio fratello, che l’ha allenato per molto tempo e oggi è dirigente. In me credo abbia visto un esempio di coerenza e di fiducia in se stessi: così ho superato tante difficoltà, arrivando a vincere sette medaglie olimpiche e due Coppe del Mondo e a fare del fondo uno sport anche “femminile”.

Poche famiglie possono vantare al loro interno due campioni olimpici…
Ma quella di Giorgio è stata proprio la vittoria di una famiglia. Ricordo l’entusiasmo mio e di Andrea quando nostra madre ci chiese se volevamo un fratellino, oppure le giornate divertenti con nostro padre in mezzo alla neve, nei boschi, in montagna… Alla mia prima “trasferta” agonistica, in Valle d’Aosta per i Giochi della Gioventù, il mio pensiero principale fu quello di portare a casa un dono per Giorgio, che a quel tempo entrava e usciva dagli ospedali per via dell’asma: gli regalai una macchinina a batteria, con un uncino che la bloccava sull’orlo del tavolo per non farla cadere; la maggior parte dei soldi, però, la mise un dirigente, perché per me costava troppo… Una famiglia semplice, ma molto unita, nei momenti belli come in quelli difficili. E questa unione – espressa più nei gesti che a parole – ti dà una grande forza.

Lei è stata “sindaco” del Villaggio olimpico di Torino. Che esperienza è stata?
Il Villaggio è il “cuore” dei Giochi. Il mio è stato un ruolo più protocollare che dirigenziale, ma con momenti formidabili, che mi hanno riempito d’orgoglio: la cerimonia d’accoglienza a tutti gli atleti, con tanto di fascia tricolore; l’alzabandiera; il benvenuto a re, principi, capi di Stato e di governo…

Vivere un’Olimpiade non da atleta toglie qualcosa o permette di gustare maggiormente il clima dell’evento?
Sono sensazioni diverse, ma altrettanto grandi. Quando gareggi forse la tensione e la stanchezza prevalgono su tutto il resto. Per esempio, assaporare le vittorie di Giorgio, quella della 50 km in particolare, e abbracciarlo dopo il traguardo, sono state emozioni non paragonabili a quelle legate alle mie vittorie personali.

E come membro del Cio, quale valutazione complessiva dà di Torino 2006?
Prima di tutto è stato un grande onore vivere un’Olimpiade nel mio Paese come componente del “governo” mondiale dello sport. Come italiana, potrei essere di parte; riporto quindi le parole del presidente Rogge, che ha rivolto complimenti sinceri per la qualità degli impianti, dei servizi, dei Giochi nel loro complesso. Sono state Olimpiadi magnifiche.