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Il romanzo dello sport alla milanese

In “Milano nello sport” Gino Cervi e Sergio Giuntini ricostruiscono la storia dei principali impianti della città, raccontando anche le gesta dei campioni che vi hanno legato i loro nomi

di Mauro COLOMBO

9 Dicembre 2014

Nella storia Milano è stata eletta a punto di riferimento in molteplici ambiti: capitale industriale, economica, morale (anche se da Tangentopoli in avanti questa definizione è caduta in disuso), della moda, della comunicazione… E capitale dello sport: non solo per la ricchezza di luoghi deputati a esserne teatro, ma anche per avere dato i natali o avere adottato numerosi “attori”, più meno protagonisti: atleti, tecnici, dirigenti, organizzatori, mecenati, giornalisti. Finora, però, nessuno aveva pensato di trattare questa materia in forma sistematica. Vi hanno provveduto Gino Cervi, giornalista, scrittore e consulente editoriale, e Sergio Giuntini, storico dello sport, che con l’ausilio delle immagini del fotografo Lorenzo De Simone – oltre alla collaborazione di altri colleghi – hanno dato inchiostro e colore a Milano nello sport (Hoepli, 244 pagine, 49,90 euro).

Già la foliazione e il grande formato avvertono che siamo di fronte a uno studio organico, meticoloso ed esauriente. Cervi e Giuntini partono dai siti sportivi, “raccontandone” 27: dalla A di Arena, col suo imponente palmarès storico-artistico (risalente a Napoleone), alla V di Vigorelli. Passando attraverso location tuttora in attività (lo Stadio Meazza, l’Autodromo di Monza, il Palazzo del Ghiaccio), altre in stato di quiescenza (lo stesso Vigorelli) e altre ancora scomparse (il Palalido, il Palazzo dello Sport di San Siro, il Tiro a Segno…). Così, chi non è padrone della materia viene per esempio a conoscenza dell’antica piscina pubblica all’aperto dalle parti di Porta Venezia, alimentata dalle rogge della Martesana, il Bagno di Diana, nel quale i milanesi si rinfrescarono per più di cinquant’anni. Arriva a ricostruire il nomadismo del pugilato, privo di una arena “sua” e girovago tra diverse strutture, alcune delle quali eccezionali (come il Vigorelli o lo stesso San Siro, gremiti per tifare Loi e Benvenuti-Mazzinghi). Oppure scopre nel Monte Stella, nei Navigli e in strade del tutto open altrettante “palestre” per lo sport di tutti.

Ma a dare anima alle architetture di ieri e di oggi (molte delle quali, tra l’altro, frutto dell’inventiva di progettisti di valore assoluto), e di conseguenza alla ricognizione di Cervi e Giuntini, è il racconto delle gesta di personaggi che hanno legato il loro nome a questo o a quell’impianto: Meazza e l’Arena, Ascari e l’Autodromo, Consolini e il Giuriati, Rubini e il Palalido, Mangiarotti e il Circolo della Spada, Milan e Inter e San Siro, Maspes e il Vigorelli… E siccome lo sport è anche di chi ne scrive, soprattutto se lo fa con maestrìa, ecco estratti antologici di Gianni Brera, Giovanni Testori, Gianni Mura, Mario Fossati, Beppe Viola, Giorgio Bocca, Gianni Clerici: c’è perfino l’Hemingway di Addio alle armi, in trasferta nella San Siro dei cavalli. Né poteva mancare un omaggio alla “rosea”, la Gazzettadello Sport, che a Milano è nata, vive e lavora. Nell’aneddotica rientrano anche avvenimenti a cui lo sport ha “affittato” le sue case: il concerto d’esordio di Celentano al Palazzo del Ghiaccio nel 1957, quello “mitico” dei Beatles al Vigorelli nel 1965, il congresso del Pci che elesse segretario Berlinguer al Palalido nel 1973…

Milano nello sportracconta un passato glorioso, descrive un presente complesso, auspica un futuro meno nebuloso di quanto appaia oggi. I problemi non mancano: l’Arena ospita più serate musicali che meeting di atletica; il Trotter ha chiuso l’anno scorso; il “Meazza” sconta i problemi derivanti dall’ultimo ampliamento, non esattamente illuminato; il Palazzo dello Sport, dopo le demolizioni di quello di San Siro e del Palalido, è tuttora assente all’appello; per difendere il Vigorelli da bizzarri cambi di destinazione è insorto un apposito comitato. Perciò le parole di Cervi nell’introduzione hanno il sapore del monito: «Quando i luoghi di sport smettono di essere qualcosa di più del solo fatto sportivo, o peggio quando esistono solo come contenitore, come quinta scenografica di un evento di cui conta soltanto la diffusione mediatica, televisiva o altro, iniziano a morire, a perdere l’aura di mitologia collettiva e condivisa che ha costituito la loro ragione di esistere».