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Calcio

Di Stefano, la “saeta rubia” diventata leggenda

Morto a 88 anni il campione ispano-argentino, uomo-simbolo del Real Madrid in campo e fuori. Per molti è stato il più grande calciatore di tutti i tempi

di Mauro COLOMBO

8 Luglio 2014

Pelè? Certamente. Eusebio? Perché no? Beckenbauer? Nessun dubbio. Crujiff? Indiscutibile. Platini? Evidente. Maradona? Sicuro. Ronaldo? Fenomenale.

Il dibattito attorno al più forte calciatore di tutti i tempi si arricchisce di mille opinioni, tutte egualmente rispettabili. Se però si pensa al campione più completo di sempre, è molto probabile che i pareri convergano unanimi sul nome di Alfredo Di Stefano, la saeta rubia, scomparso ieri a 88 anni. Centravanti e regista, uomo-gol e perno del gioco, forte a 25 anni come a 35, sempre e ovunque leader carismatico e trascinatore. Con un solo “buco nero”: lui, che ha girovagato per tre Paesi (Argentina, Colombia e Spagna) vestendo la divisa dell’Albiceleste e poi della Roja, non ha giocato neppure una partita delle fasi finali di un Mondiale.

Storia avventurosa e romanzesca, la sua. Nato a Buenos Aires da padre di ceppo italiano e madre di origini franco-portoghesi, entra giovanissimo a far parte del River Plate, diventandone subito primattore. Un’agitazione sindacale dei calciatori argentini lo porta a emigrare in Colombia, ai Millionarios di Bogotà. E proprio in questa squadra affronta il Real Madrid del mitico presidente Santiago Bernabeu, che seduta stante ne decide l’acquisto. Ma anche il Barcellona ha messo gli occhi su Di Stefano e lo tratta col River. Sarà poi l’intervento diretto del Caudillo Franco a far prendere a Di Stefano la strada della capitale spagnola. E a Madrid l’argentino diventa la saeta rubia, la “saetta bionda”, per il colore dei capelli e la velocità con cui si proietta in ogni zona del campo. Quando Di Stefano arriva nel 1953, il Real non vince un campionato da 20 anni: con lui ne conquista 8 in 10 anni, oltre a 5 Coppe dei Campioni, che nel palmarès personale del campione si aggiungono a due Palloni d’Oro e a una Coppa America con l’Argentina, per un totale complessivo di 22 titoli.

Terminata la carriera di calciatore, intraprende quella di allenatore, vincendo ancora con Boca Juniors, Valencia e River Plate, meno col Real Madrid, al quale lega comunque indissolubilmente la sua leggenda anche come dirigente e uomo-simbolo, fino alla nomina, nel 2007, a presidente onorario: ruolo ricoperto con stile ed eleganza ineguagliabili. L’infarto che gli è stato fatale l’ha colpito mentre camminava nei pressi del “Santiago Bernabeu”, lo stadio teatro di tante sue imprese. In pratica è come se non avesse mai smesso la camiseta blanca.