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Disagio

Vivono nelle case di cartone
all’ombra dei grattacieli

Alle porte dell’emergenza freddo una notte in città con la Ronda della carità. La racconta uno “speciale” di “Scarp de’ tenis” in distribuzione dall’11 novembre

di Francesco CHIAVARINI

28 Ottobre 2012

Milano, Stazione Garibaldi, venerdì sera ore 20. Mentre i pendolari ritardatari si affrettano a prendere gli ultimi treni che li riportano a casa, dietro alla fila dei taxi fermi sul piazzale, si raduna una piccola folla. Sono gli uomini “senza”. Senza casa, senza lavoro, senza famiglia. Sono qui, all’ombra dei grattacieli, perché sanno che anche stasera arriverà la Ronda della carità, una delle unità mobili attive da più tempo in città: 14 anni di servizio, ogni settimana 4 uscite notturne e due di giorno, una cinquantina di volontari divisi in squadre da sei che si danno il cambio.

I senza tetto arrivano alla spicciolata. Qualcuno si saluta con un cenno. Sono stranieri, soprattutto. Ma anche italiani. Tutti maschi, una sola donna anziana che guarda circospetta e si tiene ben lontana da taccuino e macchina fotografica. C’è chi ha il volto segnato da troppe notti all’aperto. E chi vedendolo la mattina, non lo diresti mai. Tipi come Simone, 46 anni, ex operaio metalmeccanico. Tanti anni di lavoro ma mai un contratto vero e proprio. «Sono sempre passato da un’azienda all’altra, stavo fermo qualche mese e ricominciavo – racconta -. Poi è arrivata questa maledetta crisi e l’agenzia ha smesso di chiamarmi. Nel frattempo i miei genitori sono morti e da solo non sono più riuscito a pagare l’affitto. Così dal novembre del 2009 sono in strada. La mattina salgo su un treno e giro la Brianza. Chiedo aiuto ai parroci. Riesco sempre a mettere assieme qualche euro per pagarmi la mensa. In chiesa mi danno anche i vestiti. Insomma tiro a campare, ma non è vita. Se non passa questo momento prima o poi lo faccio… – fa una pausa e abbassa lo sguardo -. E se mi beccano, pazienza, mi sbattono dentro e amen».

I volontari montano il banchetto davanti al camper. Iniziano a distribuire panini, bicchieri di the caldo e coperte. Il capannello è diventato già un piccolo gruppetto di 40 persone. Tra loro c’è Alexander, 41 anni, rumeno che racconta di essersi laureato in veterinaria a Bucarest, ma di non riuscire a esercitare la professione nel suo Paese. Così, in mancanza di alternative, fa la spola tra Bacau, dove vive la moglie, e Milano, dove ogni tanto qualche suo conoscente gli procura un lavoretto. L’ultima volta non gli è andata proprio bene. «Sono stato in cantiere 12 ore al giorno per due mesi e sai cosa mi hanno dato? 160 euro. Una miseria. Ma cosa potevo fare? Ammazzarli?» Poi fa un gesto con la mano come a cancellare un brutto sogno e continua: «Meglio tirare avanti così. Ho fatto la vendemmia a Piacenza il mese scorso. E ora aspetto che mi chiami un altro amico. È un italiano. Sempre nel ramo dell’edilizia. Speriamo bene». «A mia moglie? A lei ho detto che va tutto bene – risponde -. Ma devo presto mandarle qualche soldo. Se no si insospettisce e pensa che mi li sia bevuti tutti». E, per la verità, il sospetto, a giudicare dall’alito anche di stasera, non deve proprio essere privo di fondamento.

Poco dopo, la folla come si era radunata, così improvvisamente si disperde. Sul binario 6 sta arrivando il Domodossola – Milano Porta Garibaldi. Pare sia un buon posto per passare la notte. Il migliore qui in giro. Almeno fino a quando non arriva l’inverno duro e anche le carrozze dopo qualche ora diventano gelide. «Basta non dare troppo nell’occhio, aspettare che i passeggeri scendano e salire prima che si chiudano le porte», ci informa Simone mentre si dirige verso la banchina. Non ci sono i controlli della Polizia ferroviaria? «Certo, gli agenti lo sanno che siamo qui – sorride -. Ma chiudono un occhio. Basta che non facciamo casino, non beviamo, e ci lasciano in pace». «L’unico problema è che alle 4.55 il treno riparte e ti devi svegliare. Io faccio così: punto il cellulare poco prima, prendo le mie cose e mi sposto sul binario 4 dove il treno, mi pare per Lecco, riparte alle 6.15».

Ma c’è anche chi ai sedili di un treno, preferisce i cartoni. Mohamed se ne sta accovacciato sotto il ponte sul lato della stazione tra una montagna di sacchetti di plastica. «Non se ne separa mai – racconta Madga Baietta, presidente della Ronda che lo conosce da anni -. Quando va alla mensa dei frati qui vicino, se li trascina dietro. Prende un sacchetto, lo sposta. Poi torna indietro a prelevare gli altri. La psichiatra che l’ha visitato ci ha detto di non toccarglieli, perché è come se fossero la sua coperta di Linus, un’ancora che gli dà sicurezza».

Ma il cruccio di Magda è Faustino. Lui racconta di avere 87 anni, di ricevere una pensione e di avere pure un appartamento a Roma che però non abita perché è pieno di fantasmi. Ogni volta che si siede nel tinello compaiono le ombre dei suoi fratelli ai quali era tanto legato e lo spaventano. Allora preferisce la stazione. E quando fa troppo freddo l’albergo del figlio di un suo ex collega che lo ha preso in simpatia e nemmeno gli fa pagare la camera. «Chissà se è vero – dice Magda -. Per ricostruire la sua storia dovremmo almeno conoscere il suo cognome, capire cosa è successo, se ha un disturbo psichico e di che tipo. Quello che è certo è che non lo possiamo lasciare qui: è troppo vecchio e malandato per passare la notte in strada, soprattutto ora che si avvicina l’inverno. Bisognerà convincerlo a farsi aiutare». «Ma non sarà facile – si rabbuia -. Con tipi così bisogna avere molta pazienza, conquistarsi la fiducia, proporre e riproporre. Molti di quelli che muoiono d’inverno per assideramento, sono proprio persone come queste che hanno rifiutato ogni tipo di soccorso».

I volontari risalgono sul camper, pronti per fare il giro. Mostrano il foglio con le tappe: via Pirelli, via Filzi angolo via Galvani, piazza IV Novembre. Sono i luoghi dove i cittadini hanno segnalato la presenza costante di senza tetto, telefonando all’help center della stazione centrale. «Andiamo a vedere se hanno bisogno di qualcosa, – spiegano mentre il furgone lascia il piazzale della stazione – e intanto li agganciamo, stabiliamo un contatto e li teniamo monitorati. È il solo modo per provare a farli uscire dal tunnel in cui sono finiti. E le indicazioni dei cittadini sono fondamentali. Prima interveniamo e meglio è, perché per ogni giorno passato sulla strada, ce ne vogliono dieci per abbandonarla».

Quando la Ronda è terminata, la stazione è deserta. Davanti al piazzale passa qualche ragazzo che va a fare nottata nei locali del vicinissimo corso Como. Sul binario 10 il Domodossola – Milano, con i suoi ospiti abusivi, è sprofondato nell’oscurità. Sotto il cavalcavia Mohamed è un fagotto tra i suoi sacchetti. Anche Alexander, il veterinario di Bucarest, ha trovato un posticino: dorme avvolto nelle coperte in uno slargo del nuovo tunnel che hanno costruito sotto Porta Nuova proprio davanti alla scalo ferroviario. Finalmente un po’ di riposo. E allora buona notte ai senza dimora.

A Milano 13 mila senza dimora

La città che potremmo chiamare della “dignità perduta” è abitata da 47 mila persone, uomini e donne. Tutti senza una casa. Le tabelle, e i numeri, sono altrettanto desolanti. Raccontano tante storie intrise di povertà, di umanità sofferente e, appunto, di dignità perduta. Sono i numeri e le tabelle elaborati dall’Istat, frutto della prima ricerca sulla condizione dei senza dimora in Italia, condotta dall’Istat insieme con Fio.Psd (Federazione italiana organismi persone senza dimora), Caritas Italiana e Ministero delle Politiche sociali. Che fotografa il numero dei senza dimora in Italia. Appunto, 47 mila persone. Tra questi, in 13 mila, hanno scelto Milano per vivere. Forse attratti da una rete di servizi molto vasta. Di questo si parlerà sul prossimo numero di Scarp de’ tenis, in distribuzione sulla strada e nelle parrocchie della Diocesi da domenica 11 novembre.