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Milano

Un abitare condiviso per la «Speranza Oltre Noi»

Il progetto ideato da tre famiglie del quartiere Adriano insieme all'associazione Amici della Casa della Carità e al Centro Ambrosiano di Solidarietà per garantire un futuro ai figli con disabilità. Maria Grazia Guida: «Condividere la fragilità può diventare un arricchimento»

di Claudio URBANO

7 Luglio 2017
Maria Grazia Guida

Si chiama Speranza Oltre Noi, ma si può leggere anche con l’acronimo Son (figlio in inglese), l’associazione nata da alcune famiglie del quartiere Adriano, a nordest di Milano, per dare concretezza a quel futuro “dopo di noi” che tanti genitori chiedono per i loro figli disabili. Un’iniziativa nata dal basso, dalle esigenze di tre famiglie che, insieme all’associazione Amici della Casa della Carità e al Centro Ambrosiano di Solidarietà, faranno nascere negli spazi di una vecchia cascina una residenza dove si trasferiranno sia i genitori, sia i figli disabili. Ci saranno anche tre appartamenti per persone in condizioni di fragilità e un alloggio di emergenza per i disabili che momentaneamente si trovano senza il sostegno del nucleo familiare, ma anche uno spazio diurno, dove costruire esperienze, laboratori per altri giovani con disabilità e iniziative aperte alla comunità cristiana e del quartiere.

«È un lavoro su cui punto molto, diventerà una sorta di villaggio abitativo e a tutti gli effetti un progetto di carattere sociale», sottolinea don Virginio Colmegna, tra i promotori dell’iniziativa. Non sarà una sorta di comunità protetta, ma uno spazio aperto, chiarisce la presidente dell’associazione Amici della Casa della Carità Maria Grazia Guida. Perché, spiega, «queste famiglie si fanno totalmente carico della loro genitorialità, ma desiderano condividere la propria quotidianità insieme ad altri per costruire relazioni che siano di sostegno ai figli, e che possano integrare e in futuro sostituire la propria presenza di genitori». Una «condivisione della fragilità – sintetizza Guida – che può diventare anche un arricchimento, perché disabilità non è uno stigma, ma è in qualche modo un bene prezioso, che fa riflettere sul limite di tutti noi».

Il progetto, presentato la settimana scorsa nella vicina parrocchia di Gesù di Nazareth, alla presenza anche di monsignor Mario Delpini e di monsignor Luca Bressan, sta già prendendo forma. Entro la fine dell’anno avverrà l’acquisto delle strutture, con il “trasloco” previsto per il 2019, confidando anche nella generosità di chi vorrà sostenere i lavori. Due architetti intanto stanno dedicando molto tempo all’ascolto di chi ci andrà ad abitare. E i ragazzi esprimono le loro esigenze, da chi preferisce la porta aperta verso l’appartamento dei propri genitori a chi invece la vuole sul cortile.

Un lavoro di abitare condiviso che è anche una scommessa per il quartiere, in buona parte di nuova costruzione e con spazi di vita sociale ancora da definire. Non è un caso che all’associazione, insieme a chi si trasferirà nella residenza, partecipino anche genitori i cui figli disabili, ormai adolescenti, non trovano, al di là della scuola, luoghi adatti a loro. «Costituire l’associazione e pensare a spazi aperti al quartiere significa anche costruire una responsabilità condivisa, diventando in qualche modo tutti genitori di questi ragazzi», sottolinea Guida. Una generosità che parte proprio dalle famiglie dei giovani disabili, che destineranno il loro patrimonio non solo per realizzare la residenza, ma anche perché, dopo di loro, altre famiglie possano farsene carico: «Tutti progettano per il futuro non solo dei propri figli, ma anche per altri, che dovessero avere bisogno». Più ancora che la salvaguardia del patrimonio – conclude Guida – c’è un valore nella quotidianità e nelle relazioni che queste famiglie vogliono costruire».