Share

Milano

Sant’Egidio, una preghiera per i morti di freddo

Sabato scorso,�in San Bernardino, la Comunità ha celebrato una liturgia in memoria dei senza dimora vittime della durezza della vita in strada

di Silvio MENGOTTO Redazione

22 Febbraio 2010

Sabato 20 febbraio, presso la chiesa di San Bernardino, la Comunità di Sant’Egidio ha celebrato una liturgia in memoria degli amici senza dimora morti per la durezza della vita in strada. Alla liturgia, insieme ai volontari, erano presenti alcuni clochard.
Da otto anni i volontari di Sant’Egidio, aiutati dall’assistenza di Caritas, Croce Rossa, Ronda della carità, Progetto Diogene, Casa di Gastone e Fratelli di San Francesco, assistono a Milano oltre 200 barboni. Un servizio svolto da sessanta volontari che, per quattro sere alla settimana, operano in unità mobili in diverse zone della città. Si impegnano di cucinare e reperire generi di prima necessità, ma soprattutto di creare relazioni nel tentativo di affrontare insieme agli emarginati il mondo dell’esclusione. Le sere di servizio sono sempre precedute da una liturgia della preghiera celebrata dai volontari nella chiesa di San Bernardino. La contemplazione poi si trasforma in azione. Non è sociologia, ma liturgia della quotidianità nella strada dei senza voce e senza volto.
Una settimana fa monsignor Erminio De Scalzi, nella preghiera tenuta dalle comunità cristiane del decanato di Turro sui gravissimi fatti di via Padova, affermava che il giudizio del Signore «non sarà sulla fede, ma su quel brano di Vangelo “l’avete fatto a me”: costoro saranno chiamati “benedetti nel Padre”. Non solo, essi faranno la scoperta che, ogni volta che hanno ospitato un uomo, chiunque fosse, hanno ospitato Cristo stesso. Accogliendo un uomo visibile hanno accolto il Dio invisibile».
Nella celebrazione liturgica di sabato don Giuliano Savina ha detto: «Il nostro venire qui è già una risposta a qualcuno che da sempre ci aspetta. Stiamo celebrando la Messa che è entrare nell’iniziativa di Gesù». Un Gesù, ha precisato don Giuliano, che «non ha avuto casa, ma abitato le case». Gesù nasce in una stalla, con la famiglia è costretto a fuggire in Egitto e in Galilea, dove abita tante case: Cafarnao, Betsaida, Betania, Nazaret, Gerico. Un Gesù, come un senza fissa dimora, sembra avere la casa nella strada che percorre ogni giorno. L’immagine più diffusa della casa è legata a un tetto, ai servizi, alla camera da letto, alla cucina. In realtà quando si pensa alla casa, ha continuato don Giuliano, «pensi a quel luogo delle relazioni, degli affetti, dell’ascolto, dell’amicizia, della condivisione, del confronto a volte anche serrato».
Per questo don Primo Mazzolari afferma: «La casa è quando c’è qualcuno che ti aspetta». La casa è il mondo delle relazioni, nel Vangelo significa stare con il Padre. La Comunità di Sant’Egidio può diventare questo «punto di riferimento. Il Signore ci rende capace di affetto, di stima, di amicizia, di guardarci negli occhi e di non misurarci sul colore della pelle».
Nella preghiera dei fedeli sono stati ricordati i nomi di fratelli e sorelle in questi anni morti sulla strada spezzati dal freddo. In questi nomi storie differenti, oggi anche di stranieri. Per ogni nome ricordato, un canto, una candela accesa davanti all’icona del Santo Volto tra i volti dai morti: Oronzo, Said, Davide, Umberto, Abu, Adriana, Salvatore, Vittorio, Paola, Cicho, Angelo, Andrea, Maurizio, Serghey, Franco, Teresa, Abdul, Said, Anna, Gastone, Dino, alvatore, Pier Paolo, Luigi, Arnaldo, Giuseppe, Olivo, Mario, Emiliano, Vittorio, Marisa, Amadeo, Gioia. Sabato 20 febbraio, presso la chiesa di San Bernardino, la Comunità di Sant’Egidio ha celebrato una liturgia in memoria degli amici senza dimora morti per la durezza della vita in strada. Alla liturgia, insieme ai volontari, erano presenti alcuni clochard.Da otto anni i volontari di Sant’Egidio, aiutati dall’assistenza di Caritas, Croce Rossa, Ronda della carità, Progetto Diogene, Casa di Gastone e Fratelli di San Francesco, assistono a Milano oltre 200 barboni. Un servizio svolto da sessanta volontari che, per quattro sere alla settimana, operano in unità mobili in diverse zone della città. Si impegnano di cucinare e reperire generi di prima necessità, ma soprattutto di creare relazioni nel tentativo di affrontare insieme agli emarginati il mondo dell’esclusione. Le sere di servizio sono sempre precedute da una liturgia della preghiera celebrata dai volontari nella chiesa di San Bernardino. La contemplazione poi si trasforma in azione. Non è sociologia, ma liturgia della quotidianità nella strada dei senza voce e senza volto.Una settimana fa monsignor Erminio De Scalzi, nella preghiera tenuta dalle comunità cristiane del decanato di Turro sui gravissimi fatti di via Padova, affermava che il giudizio del Signore «non sarà sulla fede, ma su quel brano di Vangelo “l’avete fatto a me”: costoro saranno chiamati “benedetti nel Padre”. Non solo, essi faranno la scoperta che, ogni volta che hanno ospitato un uomo, chiunque fosse, hanno ospitato Cristo stesso. Accogliendo un uomo visibile hanno accolto il Dio invisibile».Nella celebrazione liturgica di sabato don Giuliano Savina ha detto: «Il nostro venire qui è già una risposta a qualcuno che da sempre ci aspetta. Stiamo celebrando la Messa che è entrare nell’iniziativa di Gesù». Un Gesù, ha precisato don Giuliano, che «non ha avuto casa, ma abitato le case». Gesù nasce in una stalla, con la famiglia è costretto a fuggire in Egitto e in Galilea, dove abita tante case: Cafarnao, Betsaida, Betania, Nazaret, Gerico. Un Gesù, come un senza fissa dimora, sembra avere la casa nella strada che percorre ogni giorno. L’immagine più diffusa della casa è legata a un tetto, ai servizi, alla camera da letto, alla cucina. In realtà quando si pensa alla casa, ha continuato don Giuliano, «pensi a quel luogo delle relazioni, degli affetti, dell’ascolto, dell’amicizia, della condivisione, del confronto a volte anche serrato».Per questo don Primo Mazzolari afferma: «La casa è quando c’è qualcuno che ti aspetta». La casa è il mondo delle relazioni, nel Vangelo significa stare con il Padre. La Comunità di Sant’Egidio può diventare questo «punto di riferimento. Il Signore ci rende capace di affetto, di stima, di amicizia, di guardarci negli occhi e di non misurarci sul colore della pelle».Nella preghiera dei fedeli sono stati ricordati i nomi di fratelli e sorelle in questi anni morti sulla strada spezzati dal freddo. In questi nomi storie differenti, oggi anche di stranieri. Per ogni nome ricordato, un canto, una candela accesa davanti all’icona del Santo Volto tra i volti dai morti: Oronzo, Said, Davide, Umberto, Abu, Adriana, Salvatore, Vittorio, Paola, Cicho, Angelo, Andrea, Maurizio, Serghey, Franco, Teresa, Abdul, Said, Anna, Gastone, Dino, alvatore, Pier Paolo, Luigi, Arnaldo, Giuseppe, Olivo, Mario, Emiliano, Vittorio, Marisa, Amadeo, Gioia.